Ndrangheta "Rinascita Scott": importanza dei Collaboratori di Giustizia.

«Seguiamo con grande attenzione, come naturale che sia, gli sviluppi del processo Rinascita Scott, iniziato nei giorni scorsi nell’aula bunker di Lamezia Terme».

Ndrangheta "Rinascita Scott": importanza dei Collaboratori di Giustizia.

PROCESSO RINASCITA SCOTT: L’IMPORTANZA DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA.

«Seguiamo con grande attenzione, come naturale che sia, gli sviluppi del processo Rinascita Scott, iniziato nei giorni scorsi nell’aula bunker di Lamezia Terme». Cosi l’avvocato Marco Valerio Verni, portavoce dell’associazione Sostenitori dei Collaboratori e Testimoni di Giustizia, impegnata già da diverso tempo nella lotta alla mafia, che continua: «Già si è detto della enorme complessità di quello che è stato definito il più grande processo dopo quello, passato alla storia, del 1986 svoltosi a Palermo, sebbene ci si sarebbe aspettati maggior attenzione da parte del mondo politico e mediatico, soprattutto perché potrebbero essere accertati importanti intrecci tra il primo (mondo politico e istituzionale) e quello, appunto, della criminalità organizzata, attraversando diversi settori della società, che dovrebbe essere interesse di tutte le persone per bene- ed in particolare di quelle che gestiscono la “res publica”- scoprire e smantellare. Una complessità che, al di là dei sacrosanti principi cardine del nostro ordinamento giuridico, tra cui, in primis, quello della presunzione di con colpevolezza che, naturalmente, deve valere anche per i numerosi imputati che si trovano ad affrontare questo processo, e che deve essere sempre tenuto a mente, anche a garanzia di quello che sarà l’esito finale del suddetto, il quale sarà tanto più granitico ed incontestabile quanto più rispettoso dei capisaldi normativi garantisti del nostro sistema di leggi, dimostra quanto la guerra alle mafie sia, indubbiamente, lunga e meticolosa, e di come il nemico sia subdolo e lo si possa trovare nei gangli più remoti della società: certamente, senza anticipare giudizi, occorre aspettare con cautela e fiducia, i risvolti finali di questo importante momento della nostra storia giudiziaria.

Ma, anche alla luce di esso, occorre valutare bene, tra l’altro, le proposte di chi affermi di voler modificare, in maniera più attenuata, il regime del 41 bis o l’ergastolo ostativo. Bisogna cioè che lo Stato e, quindi, prima ancora la politica, intervengano tenendo a mente, sì, i “dettami” della Corte Europea di Strasburgo o della nostra stessa Corte Costituzionale al riguardo, ma senza sgretolare un sistema normativo che, attraverso il regime del c.d. “doppio binario” (che prevede, cioè, una disciplina differenziata per soggetti che, come gli affiliati mafiosi, appartengono ad un circuito criminale che, come affermato dallo stesso Falcone, è – sul piano sociologico, criminologico e culturale – obiettivamente e innegabilmente “differente” da tutti gli altri contesti malavitosi) ha permesso importanti risultati nella lotta alle mafie nel nostro Paese. Ciò anche attraverso lo strumento delle collaborazioni che, non a caso, è stato grandemente utilizzato, anche nel processo in questione (dove ne saranno ascoltati diversi: tra di essi, Luigi Bonaventura, ex pezzo da novanta del clan Vrenna-Bonaventura di Crotone, che ha contribuito a delineare, in particolare, la figura del “Crimine”, e Vincenzo Marino, uno degli uomini di fiducia di quest’ultimo, noto alle cronache, peraltro, per essere stato audito, nel processo di Pamela Mastropietro), per ottenere importanti informazioni altrimenti inaccessibili e su cui non posso, nella mia veste, che portare l’attenzione.

A tal proposito, peraltro, vengono in mente le parole del professor Antonio Nicaso, docente negli Stati Uniti di Storia delle organizzazioni criminali e saggista, noto a chi è addentro alla materia, che in una sua non tanto remota intervista ha affermato: Già in seguito all’introduzione della legge Rognoni-La Torre del 1982, solo grazie alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta è emerso come la mafia non fosse un insieme scomposto di famiglie, ma una struttura al cui vertice c’era Totò Riina. Oggi, la nostra conoscenza delle dinamiche mafiose e camorristiche è molto alta grazie a chi ha confessato. Con la ’ndrangheta, poiché la struttura è basata sul vincolo di sangue, è stato più difficoltoso. Negli ultimi tempi, però, diversi figli di ’ndranghetisti hanno deciso di collaborare”.

La strada, quindi, sembra quella giusta ma, anche qui, occorre uno sforzo in più, da parte di chi di dovere, perché è altrettanto innegabile che, sebbene l’errore, generalmente parlando, possa capitare, in determinati casi esso non sia ammissibile: mi riferisco, tra l’altro, al caso di Marcello Bruzzese, evidentemente, che mina la fiducia nelle Istituzioni da parte di chi decide di fare questo importante passo, soprattutto per le ripercussioni che esso potrebbe avere nei confronti dei propri familiari. Sia chiaro: personalmente, non voglio santificare nessuno, anzi: al di là dei motivi che spingono a collaborare, ogni situazione, è a sé stante, va attentamente riscontrata e, d’altronde, è spesso sottoposta anche ad un duro vaglio dibattimentale. Ma, stante quanto detto sopra, ed al netto di coloro che, pure, mentono nel collaborare o che continuano a commettere crimini dopo aver apparentemente scelto di “cambiare parte” (non sono mancati casi in tal senso, e purtroppo l’errore di valutazione, o altro, è sempre in agguato), è innegabile che certe scelte debbano poi essere accompagnate da un impegno preciso da parte dello Stato, a trecentosessanta gradi, anche in sede europea. Se, come già ricordato in precedenza, un passo in avanti è stato fatto per quanto riguarda i testimoni di giustizia (con la legge 11 gennaio 2018, n. 6), sebbene, anche lì, molto sia ancora da fare (soprattutto in tema di decreti attuativi della citata legge), ora occorre farne un altro, o forse due, per quanto riguarda proprio i collaboratori. In una guerra ogni attimo è prezioso. Non ci si può fermare».