Anna Bracci, un delitto nella nebbia

Sabato 18 febbraio 1950. In tutta Roma impazza il Carnevale ma nella borgata di Primavalle sono in molti a non festeggiare il sabato grasso.

Anna Bracci, un delitto nella nebbia
Anna Bracci

Il “cold case” di Annarella che negli anni Cinquanta commosse tutta l’Italia. Ancora ignoto il colpevole

Anna Bracci, un delitto nella nebbia

Sabato 18 febbraio 1950. In tutta Roma impazza il Carnevale ma nella borgata di Primavalle sono in molti a non festeggiare il sabato grasso. Tra questi Annarella Bracci, ha appena dodici anni, un taglio di capelli “a paggetto”, gli occhi profondi e tristi. Sembra più grande della sua età e forse lo è, caricata di responsabilità come macigni, per coprire le mancanze di una famiglia problematica.

Vive con la mamma, Marta Fiocchi separata dal marito e numerosi fratelli, tra cui uno disabile per l’amputazione di una gamba. Per lei non ci sono festicciole, né coriandoli nemmeno frappe. Deve pensare ad altro: comprare il carbone per alimentare la stufa che preparerà la misera cena e recuperare un pochino di olio e pasta da una vicina di casa, in via Lorenzo Litta, dove Annarella abita al lotto 25 scala L. A casa non tornerà più. Troveranno il suo corpo esanime la sera del 3 marzo all'interno di un pozzo profondo 13 metri, tra via Torrevecchia e l'attuale via Cogoleto, prima chiamata via della Nebbia. Il tragico episodio di cronaca nera scuote profondamente la città, uscita da poco dalla guerra. Una città che cerca di riprendersi e che forse, per rimozione, conosce poco le borgate come Primavalle, poste ai margini, prive di servizi, che soffrono dello stigma del resto dei cittadini. Nonostante ciò, tra gli abitanti dei quartieri c’è solidarietà e aiuto reciproco e Primavalle non fa eccezione.

La zona in quel periodo non ha ancora acquisito il titolo di quartiere: è una borgata abitata per lo più da persone indigenti ma solidali e tra i residenti la notizia della scomparsa della ragazza si diffonde velocemente. Sono proprio i cittadini a sollecitare le ricerche e in molti si mobilitano per aiutare la polizia a dipanare il mistero. In un primo momento, tutti i familiari sono interrogati e gli inquirenti “attenzionano” la mamma di Annarella, Marta, perché in conflitto con il marito temeva che la figlia sobillasse suo padre contro di lei. A causa dei dissapori familiari, la bambina era stata convocata dai giudici - a cui si era rivolto il padre per denunciare Marta Fiocchi - pochi giorni prima della sua sparizione. Proprio questa coincidenza mette in sospetto gli inquirenti. Perfino un generoso e ricco barone offre una taglia di 300.000 lire di ricompensa – a quell’epoca un patrimonio - a chiunque avesse dato notizie utili sulla scomparsa della bambina. Poi avviene un fatto soprannaturale: il nonno paterno di Annarella, Melandro Bracci, sostiene di aver sognato la nipote e di averla udita mentre gli indicava di cercarla nel pozzo di Torrevecchia.

Per questo anche lui viene incluso fra i possibili colpevoli della sparizione, accusa flebile che non dura molto. I sospetti si concentrano sull’amante della madre di Antonella e su un amico di famiglia, un certo Lionello Egidi, detto “er biondino”. Un uomo mite, noto nel quartiere che ha la sfortuna di essere stato l’ultimo ad averla incontrata prima della scomparsa. Alcuni testimoni dichiarano di averlo visto in compagnia di Annarella mentre comprava un cartoccio di castagne. Per questo, in quel maledetto 3 marzo in cui viene ritrovato il cadavere, il fatto che la piccola venga trovata senza biancheria fa convergere tutti i sospetti sul biondino, anche se l’autopsia non rivela alcuna violenza carnale. Appare però evidente il tentativo di approfittare di lei ed è evidente la sua reazione: le ferite sul cranio e sul corpo non lasciano dubbi ai medici legali, sulla disperata reazione di difesa dall’aggressione.

Da tali evidenze, alla convinzione che si tratti di un omicidio di pedofilia il passo è breve. La morte della bambina suscita enorme commozione in tutta la città, lo testimoniano i sontuosi funerali, organizzati dal Comune di Roma, a cui partecipano oltre 200mila persone. Arrestato e interrogato per oltre quindici giorni, Egidi viene picchiato e torturato dalla polizia fin quando, sfinito, confessa il delitto. Arrivato nel carcere di Regina Coeli ritratta dichiarandosi innocente. Il processo, nel 1952 si conclude con l’assoluzione per insufficienza di prove. In appello viene condannato a ventisei anni. Nel 1957 la Cassazione lo assolve definitivamente dichiarandolo addirittura estraneo ai fatti. “Er biondino” torna tra la sua gente e le sue strade, assumendo la connotazione di “vittima del sistema”, un martire. Qualche anno più tardi viene nuovamente arrestato per presunte molestie sessuali su un piccolo di otto anni e questa volta rischia il linciaggio. La storia si ripete e, dopo una condanna a sei anni di carcere viene nuovamente assolto in appello. Il caso di Annarella Bracci rimane uno dei più inquietanti delitti irrisolti della città. Per ricordarla, a Primavalle oggi c’è un parco pubblico intitolato alla sua memoria.