Sappe, carceri: 500 assunzioni nel Corpo. Una goccia nel mare
Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, commentando il via libera da parte di Funzione pubblica
CARCERI, SAPPE: “ASSUNZIONI NELLA POLIZIA PENITENZIARIA SONO UNA GOCCIA NEL MARE: NECESSARIO INVESTIRE SU TECNOLOGIA, PIU’ LAVORO IN CARCERE ED IMPIEGO DETENUTI IN LAVORI SOCIALMENTE UTILI SUL TERRITORIO”
“Prendo atto che il Governo, con il concerto del Mef e con lo schema di Dpcm ha autorizzato oggi poco più di 500 assunzioni nel Corpo. Una goccia nel mare, insufficiente a coprire i pensionamenti e le riforme dal servizio. Ma poco o nulla è previsto per investire nella tecnologia penitenziaria, un provvedimento di legge che introduca l’obbligatorietà del lavoro per i detenuti (è l’ozio in cella che favorisce la costante e continua riproposizione di eventi critici in carcere, tra i quali le risse ed i tentati suicidi) e l’impiego dei detenuti, socialmente non pericolosi e con pene brevi da scontare, in lavori socialmente utili sul territorio a favore delle comunità”.
Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, commentando il via libera da parte di Funzione pubblica, allo schema di Dpcm che autorizza Polizia di Stato, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Polizia Penitenziaria, Arma dei carabinieri e Guardia di Finanza a indire le procedure di reclutamento per personale a tempo indeterminato.
“E’ assurdo come questo Governo Conte Bis non capisca che le carceri sono più sicure assumendo gli Agenti di Polizia Penitenziaria che mancano, finanziando gli interventi per far funzionare i sistemi anti-scavalcamento e potenziare i livelli di sicurezza delle carceri: eppure, le rivolte di marzo avrebbero dovuto far comprendere che si deve puntare sul potenziamo delle politiche di sicurezza piuttosto che favoleggiare di amnistie ed indulti”. Ma per il SAPPE servono altri provvedimenti: “Fare lavorare i detenuti durante la detenzione dev’essere prioritario: lo stare in cella a non far nulla, l’ozio, è concausa delle costanti tensioni e dei continui eventi critici. Su questo c’è ancora molto da fare. In Italia lavora circa il 15% dei presenti, quasi tutti alle dipendenze del DAP in lavori di pulizia o comunque interni al carcere, poche ore a settimana. Eppure, chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4%, contro il 19% di chi fruisce di misure alternative e addirittura dell’1% di chi è inserito nel circuito produttivo. Tenere i detenuti fuori dalle celle buona parte del giorno a non far nulla è una scelta assurda e pericolosa. Dovrebbero lavorare, i meno pericolosi in progetti di recupero ambientale nelle città, pulendo i greti dei fiumi o i giardini pubblici, gli altri in attività dentro al carcere”.