Il Sessantotto muore nelle Filippine e rinasce in Libia (ovvero come risolvere la crisi libica)
Il Sessantotto muore nelle Filippine e rinasce in Libia (ovvero come risolvere la crisi libica)
Il 4 luglio 1946, nello stesso “Indipendence Day” degli Stati Uniti d’America, le Filippine si resero indipendenti dagli Stati Uniti d’America. Da allora, secondo vari pensatori e storici, sarebbe cominciata l’epoca della “decolonizzazione”, che proseguì poi con l’India dalla Gran Bretagna e, soprattutto, con l’Algeria dalla Francia, dando più direttamente che meno avvio al fenomeno del Maggio Francese del 1968. Il Sessantotto risulta, bene o male dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, essere l’unico collante “progressista” del ‘neo-liberismo di Sinistra’, da Blair a Renzi che si fa forte soprattutto di un inconfessato desiderio di “paternalismo neo-progressista” sui Continenti, gli Stati, le Regioni “extra-occidentali”, nel senso canonico del termine.
Oggi le Filippine si sono ribellate a Donald Trump, infatti, il Presidente di questo Stato resosi prima indipendente dalla cattolica Spagna e poi da Washington, ha declinato il “Visiting Forces Agreement” (VFA), il trattato bilaterale entrato in vigore nel 1999 che permette e regola lo stazionamento di militari USA sul territorio delle Filippine. In assenza di iniziative da parte dei due Paesi, l’accordo sarà ufficialmente sciolto alla fine di un periodo di 180 giorni.
Si tratta di un feroce schiaffo dell’ultima “colonia ufficiale” degli USA, prima che avvenisse la ribellione e l’autogoverno dei Popoli del Terzo Mondo tra anni Quaranta e Settanta del secolo scorso, da quelli USA sino (ultimi) a quelli spagnoli e soprattutto lusitani negli anni Settanta.
La colonizzazione, come è noto a chiunque abbia un minimo di coscienza internazionalista, non è mai cessata. Anche oggi, dalla Somalia, all’Afghanistan, all’Iraq senza meno, alla Libia e allo Yemen (e oggi al Kurdistan) prosegue questa scia di sangue di nuove forme dell’imperialismo. Siano essere colonizzazioni statunitensi, russe e financo cinesi, si badi bene. Coinvolgono in particolare i Paesi maggiormente dimenticati dell’Africa e dell’Asia.
Non è un caso che Matteo Renzi, non appena ascese alla Presidenza del Consiglio, scelse di recarsi, come primo viaggio, in Tunisia. Poi affermò: “Più che una Primavera araba, parliamo di un autunno”. Cosa voleva Renzi da Tunisi, oggi Paese in crisi di identità? Cosa voleva Blair da Baghdad? Cosa voleva, prima di tutti loro, persino il democristiano, improvvisato progressista, Andreotti dal Libano?
È chiaro: trovare le ragioni di una identità europea che si realizza squisitamente nella “conoscenza dell’altro”, sin dai Templari e dalle Crociate, ma non può che realizzarla –da allora - attraverso la sopraffazione, per un difetto di identità stesso. Oggi, ‘Repubblica’, il giornale più sessantottino del Paese, spinge per una nuova, seconda, terza o quarta, “Guerra di Libia italiana”, a Tripoli, il “bel suol d’Amore”. Perché spinge per questa soluzione? Quali sono i suoi desideri reconditi? Indubbiamente la stabilizzazione della Libia è necessaria, e occorre una qualche opera di peace-keeping generale nel Medio Oriente (l’Italia ha 1000 militari sul terreno in Libia, ammesso che non vi siano forze spionistiche, il che è assai plausibile (sic!); molti di più in Libano, primo Paese per presenza italiana, che funge da cuscinetto tra Israele e Mondo arabo – tanto musulmano quanto cristiano – ed è, last but not least, fortemente coinvolta nel fenomeno egiziano della “caccia al Ricercatore”) ma come realizzarla senza commettere gli errori della Serbia, dell’Afghanistan, di Nassyria e dell’appoggio alla sciagurata campagna di Sarkozy e Cameron contro il buon Gheddafi? Sia pure dittatore?
È semplice: favorire le ONG, favorire i “medici senza frontiere”, favorire gli studiosi e mettere i soldati (che già sono sul campo, a partire da Libia e Libano) al servizio delle Nazioni Unite, ove fare pressione per un diverso concetto di ONU, che non verta su pochi Paesi (4-5) che decidono in un circuito chiuso, ma sul voto maggioritario di tutti (e sottolineo tutti) gli Stati membri, tutti gli stati del Globo. La cosiddetta “emergenza migratoria italiana”, meramente mediatica,, che produce morti, lutti, sequestri, propaganda e devastazioni nel Mediterraneo è dettata dall’instabilità libica che ci procura un danno mediatico sfruttato dalle forze “neo-razziste”: ebbene, risolviamo questo problema mettendoci al servizio del Popolo Libico e non dell’uno o dell’altro contendente.
Lorenzo Proia