Stefano Parisi, ci ha provato, e nononostante qualche errore resta sempre una persona non comune.
Non è da tutti buttarsi dopo anni di duro lavoro da imprenditore, alla politica, anche se magari ci fosse un ricambio vero, non gli "yes man" che vediamo oggi.
Parisi, intervistato da noi di Varese Press, ci è parso una persona concreta e con tanta voglia di fare, con la possibilità anche economica ( che serve) per poter essere indipendente.
La politica non è per tutti, muoversi in certi ambienti non è semplice, non bastano le buone intenzioni ci vuole esperienza, conoscenza dei social, e qualcuno navigato alle spalle.
Forse questo è stato il suo tassello mancante, tante bravissime persone non bastano, sbagliano i grandi ( si fa per dire) leader attuali, figuriamoci chi cerca di farsi strada.
Parisi ha camminato a testa alta cercando di non farsi " contaminare" , ma un paio d'errori gli sono stati fatali, non ha voluto scendere a compromessi e alla fine, ha capito.
Sarebbe stato un ottimo sindaco di Milano, ma non ha voluto i voti dell'estrema destra e questo lo ha portato alla perdita della prestigiosa poltrona, abbia fatto bene o male, giudicheranno i lettori.
Poi a Roma anche lì qualche errore, insomma dava fastidio ai " vecchi" e potenti della politica che non volevano essere surclassati, e messi da parte, e a certi poteri non si sfugge, nonostante i suoi sforzi e le sue idee innovative. Nelle " sabbie mobili" della politica si sprofonda.
Peccato.
Segue il suo addio:
"Torno al mio lavoro. Il mio impegno nella politica attiva si conclude qui. È iniziato nel febbraio del 2016 quando la coalizione di Centro Destra mi ha candidato alle elezioni per il Sindaco di Milano. È stata un’esperienza fantastica: l’elaborazione del programma di governo per il futuro della città. La raccolta di un ampio consenso per costruire insieme quel futuro. Le migliori energie della città si mobilitarono su una visione moderna di Milano, europea, riformista, liberale, popolare. Persi per pochi voti ma quell’esperienza generò una grande voglia di politica nuova. Ci mettemmo a studiare, a raccogliere le migliori idee per il Paese. Un bellissimo momento di confronto fu MegaWatt a settembre del 2016. Sul palco di quel capannone industriale di Milano si sprigionò una forza ideale e programmatica straordinaria. Per due giorni migliaia di persone ascoltarono i tanti contributi che venivano da esperienze e radici culturali differenti, ma si ritrovarono lì con una forza e una motivazione che non si vedeva da anni. Da lì iniziò un grande lavoro di elaborazione di un programma di Governo per il futuro del Paese, si posero le basi organizzative e programmatiche per costruire una nuova destra liberale e popolare.
Sì, in tanti vedevamo il rischio della perdita del senso di una comunità, della nostra nazione. In tanti iniziammo a lavorare per ricostruire dalle fondamenta un pensiero politico nuovo. Convinti che la cultura popolare e liberale si era persa e chi diceva di rappresentarla non aveva più la capacità di comprendere cosa accadeva nel proprio elettorato. Quella politica si reggeva solo sull’autoreferenziale gestione del potere, ma aveva completamente deluso e inaridito la spinta che tanto spazio le aveva dato alla fine degli anni Novanta del secolo scorso.
Era necessario rifondare il pensiero politico. Le categorie di cui la politica si era nutrita negli ultimi 20 anni erano perdute, lasciandola senza nessuna capacità di rinnovarsi. Certamente a causa dei meccanismi elettorali che auto-alimentavano l’esistente, ma anche e soprattutto a causa di un gruppo dirigente senza ricambio, senza alternative, senza speranza.
I valori del pensiero politico liberale-popolare erano scomparsi nella vita breve dei sondaggi, degli slogan, e dei vuoti dibattiti televisivi. Le fondamenta di quel pensiero erano perdute dietro al tatticismo e alla voglia di sopravvivenza di un ceto politico senza futuro. Quelle ricette divenute slogan non funzionavano più.
Si era da anni in una nuova era, dove le enormi spinte migratorie, la minaccia del terrorismo islamico, il venir meno degli Stati Uniti quale Paese guida per il mondo occidentale, lo straordinario peso della Cina nell’economia mondiale e negli equilibri geopolitici globali, i nuovi equilibri che si andavano generando nel Mediterraneo, la debolezza dell’Europa divisa e irrisolta, la debolezza strutturale della nostra economia, richiedevano un grande lavoro di ricostruzione delle basi di un nuovo pensiero politico.
Le drammatiche tensioni che innervano le nostre società non trovano riposta in una politica che le alimenta, ma in una élite che guida un popolo per ritrovare il senso della persona, l’identità di una nazione, il significato della vita nella comunità.
Tanti di noi vedevano con nettezza le prime minacce di una radicalizzazione delle leadership della destra, che andava a riempire un vuoto di rappresentanza e che, tra il 2016 e il 2019, avrebbe generato un vero smottamento politico e la quasi scomparsa del voto liberale e
popolare.
Quella protervia nel rifiutare qualunque rinnovamento. Quell’ossequioso e ridicolo ripetere che il rinnovamento non era necessario, che chiunque ci avesse provato avrebbe fallito (come effettivamente è stato), che il passato terrà anche per il futuro, nonostante il disgregarsi quotidiano di una rappresentanza politica e di un gruppo dirigente ormai obsoleto.
Non era nostra intenzione, ovviamente, costruire un ennesimo piccolo partitino. No, volevamo ricostruire un nuovo modello di rappresentanza politica, far emergere nuovi leader, non far aumentare i follower.
Ripartire dai nostri valori per cercare di reinterpretare il futuro, non è un’operazione di breve periodo. Richiedeva la mobilitazione delle élite culturali, per riproporre un nuovo patto morale per la convivenza delle nostre comunità basato sul valore profondo della democrazia e della responsabilità. Ripensare a un modello di Stato sobrio, che lasciasse alle comunità il compito di occuparsi degli altri, una sussidiarietà vera, libera, in grado di mobilitare lo spirito caritatevole e amorevole che c’è tra di noi. Un sistema giudiziario liberale, giusto, in grado di riportare la fiducia dei cittadini nella
giustizia. Un sistema fiscale in grado di rimettere in moto l'adrenalina che deve esserci nei giovani per costruire il loro futuro. Un nuovo
sistema educativo che si liberi dell'attuale modello ormai fallito (che sta per compiere un secolo) e che sia in grado di stare vicino ai nostri ragazzi, di scoprire il talento che c’è in ciascuno di loro, in grado di valorizzarlo, che non generi più gli abbandoni, che dia a tutti una vera opportunità.
È arrivato poi il drammatico 2020. Una crisi umanitaria globale senza precedenti. Le debolezze dello Stato sono emerse immediatamente con forza. La necessità di ricorrere senza limiti all’indebitamento pubblico facendo raggiungere livelli di insostenibilità, la necessità di ripensare al nostro sistema sanitario, la necessità di dare al nostro vecchio e impantanato sistema burocratico una nuova capacità di reagire con immediatezza, la necessità di mettere da parte la retorica e di trovare una nuova solidarietà, senza ipocrisia, con una piena assunzione di responsabilità da parte di tutti, era la grande occasione per RICOSTRUIRE il nostro sistema pubblico dalle radici. Non approfittare di una crisi così devastante è un gravissimo delitto. E invece le tante idee buone avanzate da tante persone competenti sono state ignorate. L’occasione sembra ormai persa.
Sono stati cinque anni di impegno politico per me straordinari. Ho potuto lavorare con persone mosse da una grande voglia di impegnarsi per gli altri. La mia famiglia mi è stata vicino come non mai. Abbiamo vissuto momenti straordinari insieme, abbiamo vissuto momenti durissimi. Abbiamo ancora negli occhi l’entusiasmo di tanti, abbiamo provato sulla nostra pelle l’ostilità cieca e ottusa di pochi.
Con questa scelta qualcuno rimarrà deluso. A tutti coloro con cui ho lavorato in questi anni, a coloro che sono rimasti e a coloro che sono andati, devo una spiegazione. Credo che la politica debba essere popolata da professionisti che ne conoscano i meccanismi, le regole e il linguaggio. E credo anche che la politica richieda impegno ed energia è che chi vive nella politica debba essere anche pronto a lasciare. Io ho iniziato il mio impegno a 59 anni. Ho lavorato con tutte le mie forze per realizzare un sogno: contribuire a costruire una casa politica in cui, nel tempo, la maggioranza degli italiani avrebbe potuto ritrovare la fiducia. Non ci sono riuscito. Forse non sono la persona adatta, forse non è questo il tempo per il mio sogno. Ma sono convinto che prima o poi ci accadrà di vedere rinascere una politica di qualità, moderna, coraggiosa, che abbia una visione sul futuro della sua comunità e che si ponga alla sua guida.
E quando accadrà tanti di noi saranno lì, pronti, per dare una mano
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