Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 5° PARTE

Fatti ed intrecci poco noti che dall'Italia centrale segnarono la storia dell'intera penisola

Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 5° PARTE

La storia d’Italia dal dopoguerra in poi si è dipanata in un groviglio di vicende dai contorni nebulosi e mai chiariti. Esiste però un filo teso lungo tutti questi anni che sorregge la matassa di intrecci inconfessabili di poteri, criminalità ed apparati nazionali ed esteri. In questa lunga disamina non sono raccontati gli avvenimenti, sviscerati in migliaia di pubblicazioni e liberi di essere studiati per conto proprio, che hanno caratterizzato la nostra storia recente. La seguente indagine si pone l’obiettivo di divulgare fatti ed intrecci poco noti, magari qualcuno anche inedito, degli anni caratterizzati dalla cosiddetta “strategia della tensione”. L’analisi muove dalla zona geografica del Centro Italia, la regione anticamente conosciuta come Etruria, dove numerose vicende hanno avuto luogo o base operativa ed hanno poi segnato il resto della penisola oltrepassando i confini nazionali in ragione del ruolo strategico che l’Italia ha sempre ricoperto. Un discorso che si dispiega tramite collegamenti e curiosità che propone una visione d’insieme sulle intricate vicende spesso divulgate come singole e separate ma in realtà tutte correlate l’una con l’altra. Solo in questo modo si potrà comprendere la reale portata di quello che è avvenuto e che in realtà non è mai terminato. Molto si è solo trasformato e rigenerato.

 Il report è pubblicato a puntate così suddiviso:

1° Parte:

  • L’anonima sarda
  • I draghi neri, l’italicus e le morti indotte
  • Fiumicino ed i dirottamenti

2° Parte:

  • I latifondi di nobili e politici in Etruria ed il geometra dell’anello
  • L’ufficiale del sismi e Firenze capoluogo della “strategia della tensione”
  • Il mostro di Firenze

3° Parte:

  • Foligno, gladio ed i destini incrociati
  • Dal caso moro ai legionari del mostro di Firenze
  • I legionari a Bologna
  • I corpi sconosciuti di Erlangen

4° Parte:

  • I dettagli familiari della loggia p2
  • Il magistrato sempre presente

5° Parte:

  • I porti di Livorno e Talamone
  • I politici dell’autostrada ed il caso moro
  • Petrolio e giornali
  • I rifiuti tossici, le bombe su Belgrado, gli aeroporti segreti ed i dossier dei servizi
  • (bonus track) Farneticazioni cinematografiche

I PORTI DI LIVORNO E TALAMONE

A Firenze, oltre al citato appartamento della Direzione Strategica in viale Unione Sovietica, gli estremisti legati alle Brigate Rosse si appoggiavano anche ad altri covi in città. Uno di questi, non lontano dall’ospedale di Careggi, fu scoperto proprio nello stesso 1978 in seguito al ritrovamento sull’ autobus cittadino numero 2 di un borsello contenente una pistola, chiavi ed altri documenti. In base a dei controlli incrociati, le forze dell’ordine arrivarono al covo BR quando era però già stato prontamente dagli occupanti spostato in un’altra zona della città. Questa operazione aprì poi la pista che portò a scoprire anche il famoso covo di via Monte Nevoso a Milano.

Come conseguenza di questa indagine, fu ulteriormente scoperto sempre in quel 1978, un traffico di pistole che dal porto di Livorno, prendevano la via della Giordania approdando ad Aqaba sul mar Rosso dopo una sosta tecnica a Cipro. Questo traffico non è da confondersi con l’”Operazione Francis” del 1979 condotta da Mario Moretti e da altri due brigatisti rossi che salparono a bordo del “Papago” da Numana, sulla Riviera del Conero, e dopo la solita sosta a Cipro si fermarono intorno l’isola libanese di Ramkeen per caricare armi da gruppi palestinesi. Questa è, ovviamente, un’altra storia seppur comunque collegata alla nostra.

Il porto di Livorno come anche il più piccolo ed anonimo porticciolo di Talamone nel grossetano, sono sempre stati punti di approdo e di partenza di carichi coperti soprattutto in ambito di armi, munizioni, esplosivi, rifiuti tossici. Nel 1991 al largo del Porto di Livorno accadde la tragedia del traghetto Moby Prince che causò la morte di 140 persone determinata pare da traffici segreti di armi e rifiuti tossici tra l’Italia e la Somalia. Ed il porto di Livorno dista pochissimi chilometri dalla base Nato-statunitense di Camp Darby che utilizzava le banchine portuali per numerose operazioni militari controllate e gestite dalla base stessa.

Anche il piccolo porto di Talamone fu utilizzato per anni da operazioni mercantili internazionali di ambito militare. Fino almeno al 1985, infatti, partivano armi e munizioni italiane verso il porto di Bandar Abbas nello stretto di Hormuz che rifornivano l’Iran invischiato nella guerra contro l’Iraq. Molti degli stessi armamenti venduti all’Iran erano piazzati anche all’altra parte in causa nella guerra, l’Iraq che, non avendo porti ed essendo il Golfo Persico praticamente controllato dalla flotta iraniana, si approvvigionava sempre dall’Italia e da Talamone ma tramite approdi e metodi di consegna differenti utilizzando paesi terzi. Sia come porti, sia come navi utilizzate per il trasporto. Quella danese era una delle bandiere battenti più diffuse sulle navi nella rotta Talamone – Medio Oriente. Per una strana coincidenza, una delle tante incrociate nella nostra disamina, Renzo Rontini, padre della vittima femminile del delitto della serie del Mostro di Firenze del 1984 avvenuto alla Boschetta di Vicchio di Mugello, per anni operò come tecnico navale proprio in Danimarca prima di trasferirsi al porto di Livorno. Ma se qualcuno si pone strane domande possiamo rispondere che non coinciderebbero le date. Rontini lavorava sulle navi danesi alla fine degli anni ’60, quando tra l’altro si sposò con una donna scandinava e dalla quale unione nacque poi la figlia uccisa a Vicchio, mentre a Livorno era operativo negli anni ’80. Certo è, per riprendere la storia dei trasporti di armamenti, che il maggior flusso di trasbordi da Talamone verso il Golfo Persico avvenne proprio tra il 1984 ed il 1985 con spedizioni mensili. Armi e munizioni prima di prendere il mare giungevano da altre zone d’Italia venendo stoccati nel deposito militare segreto di Varsegge, non lontano da Grosseto, mentre gli esplosivi erano prodotti direttamente da una azienda di Orbetello, a poca distanza dalla banchina del Talamonaccio dal quale facevano la spola con le navi al largo i barchini “Dina” e “Mite”. Terminati i carichi italiani soprattutto verso l’Iran, il porto di Talamone si riciclò negli anni ’90 passando al servizio dell’esercito statunitense servendolo per il trasbordo di armi verso l’Iraq durante le cosiddette “Guerre del Golfo”. Per poi riprendere, nei primi anni duemila, a far attraccare nelle sue banchine nuovamente navi danesi provenienti da Israele cariche di armi sembra destinate all’Italia stessa.

  • La zona di Grosseto è anche protagonista in altre vicende collegate alle nostre storie tramite l’aeroporto militare ospitante gli aerei Eurofighter Typhoon e la collina di Poggio Ballone dove è ubicato il Centro Radar dell’Aeronautica Militare. Proprio il Centro Radar, addetto ai controlli sul mar Tirreno fu coinvolto la notte del 27 giugno 1980 nella vicenda della strage di Ustica che vide l’abbattimento del DC9 dell’Itavia. Come anche furono coinvolti i Tenenti Colonnelli dell’Aeronautica Mario Naldini ed Ivo Nutarelli che in volo quella sera intercettarono l’aereo civile notando una situazione di allarme che venne però secretata ed insabbiata. Nel 1988 Naldini e Nutarelli, durante una esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein in Germania, caddero tra la folla insieme ad un terzo aereo causando la loro morte, quella di 67 spettatori e centinaia di feriti.

I POLITICI DELL’AUTOSTRADA ED IL CASO MORO

Tra Pieve Santo Stefano e Sansepolcro in provincia di Arezzo crebbe Amintore Fanfani, più volte Presidente del Consiglio ed esponente di primo piano della Democrazia Cristiana. Fanfani, cambiando si dice a penna il progetto originario della costruenda Autostrada del Sole, la fece deviare verso la periferia di Arezzo tramite la cosiddetta “curva Fanfani”, accontentando così il suo bacino elettorale. Il senatore fu uno dei primi mentori di Licio Gelli.

Amintore Fanfani si mosse per trattare in cambio della vita di Moro, tanto da esser stato l’unico politico ad aver avuto il placet ad assistere ai funerali dello statista avvenuti in forma privata. Ma fu accusato anche di immobilismo proprio negli ultimi istanti decisivi per la salvezza del presidente democristiano. Per questo motivo, durante una funzione religiosa in chiesa per celebrare l’anniversario dell’uccisione di Aldo Moro, un militante DC gli rifilò una inaspettata tirata d’orecchie rimasta immortalata uno scatto fotografico divenuto celebre.

L’Autostrada del Sole A1, nel suo prolungamento A2 da Salerno a Reggio Calabria, ed oggi chiamata Autostrada Mediterranea, subì un’altra modifica in fase di post progettazione. Il duo cosentino formato dal socialista Giacomo Mancini all’epoca Ministro dei Lavori Pubblici e dal democristiano l’onorevole Riccardo Misasi, alla stregua del loro collega aretino Fanfani, fecero cambiare l’originario tracciato costiero tirrenico verso l’interno e quindi la città di Cosenza. Misasi, con tutta la sua famiglia, agli inizi degli anni ’80 si trasferì in provincia di Viterbo, nell’alto Lazio etrusco ai confini con Orvieto e non lontano dai terreni della diga di Corbara attribuiti ai latifondi di Sereno Freato. Acquistò una dimora storica a Cervara in Lubriano e si dilettò anche nella stesura di un volume sulla storia di Orvieto.

Fu proprio Misasi che in un suo intervento dichiarò: “La chiave della strategia della tensione va cercata nei legami tra capitalismo di stato (Cefis) e capitalismo nero (Attilio Monti)”.

Lo disse nel 1972, quando il cosiddetto periodo della strategia della tensione era, ufficialmente, iniziato da poco. Ma è anche vero che la dichiarazione di Misasi qualcuno la trovava ancora attuale nel 1981.

Oltre Fanfani anche il democristiano più volte Sottosegretario e Ministro Riccardo Misasi, come d’altronde il suo concittadino già segretario del Partito Socialista Giacomo Mancini, operarono durante i giorni del sequestro Moro con lo scopo di cercare una via d’uscita per la sua liberazione. Mancini si attivò soprattutto con l’area dell’estremismo grazie anche ai rapporti che aveva con l’ex leader di Potere Operaio Franco Piperno. Riccardo Misasi ed il collega di partito nonché corregionale Vito Napoli avrebbero invece cercato di coinvolgere la 'Ndrangheta nella ricerca dello statista. Questo almeno secondo le dichiarazioni rilasciate dal pentito della “famiglia di San Luca”, Francesco Fonti.

Nella lista degli iscritti alla Loggia P2 ritrovata a Castiglion Fibocchi nel 1981 compare anche il nome dell’onorevole Vito Napoli, nel 1980 Sottosegretario di Stato nel secondo gabinetto formato da Francesco Cossiga, mentore della struttura Gladio secondo il Venerabile Gelli.

In via Fani il 16 marzo 1978 abbiamo già accennato alla presenza dell’ex legionario e ritenuto contiguo alla ‘Ndrangheta Giustino De Vuono, il quale pare fece perdere le sue tracce nel 1979 in seguito ad un conflitto a fuoco nei dintorni di Paola sulla costa tirrenica calabrese. Da alcuni pentiti viene anche affermata la presenza quel giorno sul luogo del rapimento dell’onorevole Moro e della strage della sua scorta di Antonio Nirta esponente delle famiglie ndranghetiste. Considerate queste probabili comparse in via Fani, alcune ipotesi danno conferma dei tentativi politici effettuati tramite la ‘Ndrangheta, essendone questa presumibilmente invischiata.

Secondo il pentito Fonti l’ubicazione dell’appartamento dove si ritiene fosse tenuto durante il rapimento il presidente democristiano in via Gradoli, venne praticamente fuori subito durante uno dei suoi colloqui segreti con agenti dei servizi ed altri esponenti democristiani ai tavolini del Cafè de Paris.

Riordinando alcune espressioni riferite a quei giorni ed a quegli eventi si può quindi dire che la “geometrica potenza messa in atto fu l’intreccio inconfessabile tra Poteri segreti, criminalità ed apparati di vari Stati”.

PETROLIO E GIORNALI

La frase sulla strategia della tensione pronunciata da Misasi, chiama in causa Eugenio Cefis ed Attilio Monti. Abbiamo già incontrato Eugenio Cefis come ispiratore della Loggia P2 prima di Licio Gelli. Cefis lavorò al fianco di Enrico Mattei all’Agip ed all’Eni ma ben presto le differenti visioni politico-imprenditoriali dei due divennero insostenibili l’una con l’altra e Cefis si defilò.  Proprio la morte di Enrico Mattei in seguito ad un incidente aereo nel 1962, spianò la strada all’Eni di Cefis che ne divenne vicepresidente prima e presidente subito dopo. Sulla morte di Enrico Mattei ci sono varie teorie, essendo stato praticamente appurato non essersi trattato realmente di un disastro aereo. La teoria internazionale lo indica come vittima di un complotto per motivi legati ai rapporti gestionali che aveva con le multinazionali del petrolio, le cosiddette “sette sorelle”. Essendo egli fautore di una politica filoaraba, per vari motivi non qui approfonditi, suscitò fastidio anche agli Stati Uniti che organizzarono il suo assassinio tramite esponenti della mafia siciliana. Mattei, quando avvenne l’incidente, stava appunto rientrando a Milano dalla Sicilia.

Secondo un’altra ipotesi abbastanza diffusa, a volere eliminare l’allora presidente dell’Eni fu proprio Eugenio Cefis. Questa teoria fu avvalorata pochi anni fa anche dal Venerabile Gelli il quale asserì, tra il serio ed il faceto, che addirittura l’aereo di Mattei fu sostituito sulla pista del vecchio aeroporto di Catania con un altro aeromobile del tutto simile ma boicottato.

Di certo Cefis, dopo la morte di Mattei, prese il timone dell’Eni fino al 1971 quando in seguito all’aiuto finanziario di Mediobanca tramite Enrico Cuccia e con l’appoggio politico di Amintore Fanfani, già mentore di Licio Gelli, diventa presidente della Montedison. Abbiamo già visto come Gelli svendette la Lebole abbigliamento all’Eni guadagnandoci villa Wanda e la fiducia di Cefis ed abbiamo anche visto come poi sostanzialmente in contemporanea con l’uscita dalla scena pubblica di Cefis, il Maestro Venerabile passò alla guida della Loggia P2. Cefis, secondo varie testimonianze, nel corso degli anni aveva catalogato centinaia di schede su imprenditori, politici, militari, personaggi influenti e tramite questo mezzo aveva raggiunto una posizione di forza rispetto ad istituzioni ed imprese. Questa imponente schedatura fu ereditata da Gelli che la utilizzò come base dell’influenza che esercitò con la Loggia P2. Cefis teorizzava nel suo indirizzo politico-gestionale molti dei punti che poi divennero parte del Piano di Rinascita Democratica ritrovato nella valigia a Fiumicino. Anche per questo si ritiene proprio il presidente della Montedison il vero autore principale del programma ascritto alla P2. Uno dei punti teorizzati del progetto piduista afferiva al ruolo della stampa. E Cefis, appunto, oltre al settore petrolchimico si interessò anche a quello editoriale riuscendo ad acquisire la proprietà del Messaggero.

Mattei aveva la proprietà de il Giorno, Cefis del Messaggero ed Attilio Monti del Resto del Carlino di Bologna e della Nazione di Firenze.

Attilio Monti era anche lui un imprenditore nel settore petrolifero essendo il presidente della Sarom con diverse raffinerie dislocate in varie parti d’Italia.

Sia Cefis, che Monti, che Freato, il segretario amministrativo di Moro ed anche egli imprenditore nel settore dell’energia oltre che titolare dei latifondi etruschi già citati, entrarono a vario titolo nei cosiddetti “I° e II° scandalo dei petroli” che si rivelarono in Italia tra gli anni ’70 ed i primi anni ’80. 

Anche Attilio Monti, di tanto in tanto, capitava a cena a “Le Pirat”, il ristorante di Robert Viale a Roquebrune-Cap Martin, frequentato come visto da vip e da personaggi equivoci. Poco distante, a Cap D’Antibes infatti, sorgeva la sua villa nella quale decise poi di ritirarsi a vita privata negli ultimi anni della sua vita.

I RIFIUTI TOSSICI, LE BOMBE SU BELGRADO, GLI AEROPORTI SEGRETI ED I DOSSIER DEI SERVIZI

Il collaboratore di giustizia Francesco Fonti, in aggiunta alle sue rivelazioni sui contatti tra politica e ‘Ndrangheta durante i giorni del rapimento di Moro, fu anche uno dei teste principali che denunciarono importanti retroscena e dettagli particolari sui traffici di rifiuti in ambito italiano ed internazionale. In base alle sue deposizioni la ‘Ndrangheta gestiva un importante traffico di materiale tossico che vedeva impelagati diversi Stati, da quelli scandinavi fino a quelli africani passando per quelli del Medio Oriente e dell’Europa orientale.

Il pentito asserì che l’avallo politico a questi traffici fu anche dato proprio dal Deputato della Repubblica Riccardo Misasi mentre la copertura fu garantita da alcuni apparati dello Stato tramite agenti dei servizi segreti. Gli stessi con i quali Fonti conversava del caso Moro al Cafè de Paris di Roma.

Secondo queste sue dichiarazioni almeno tre navi con le stive piene di fusti contenenti rifiuti velenosi furono affondate nel mar Tirreno lucano-calabrese al largo di Maratea, Cetraro e Melito di Porto Salvo, quest’ultima cittadina già oramai nel mar Ionio. Le indicazioni di Fonti si ricollegavano al presunto affondamento di un’altra nave tossica avvenuto sempre nel mar Ionio al largo di Capo Spartivento, il punto geografico più a sud dell’Europa continentale dove, pura curiosità, tra l’antico faro in uso ancora oggi alla Marina Militare e la amèna spiaggia sorge una anonima ed appartata residenza estiva di un ex Ministro della Repubblica Italiana.

Secondo le voci le navi dei veleni affondate nel mar Mediterraneo con l’avallo di parti di istituzioni e malavita sarebbero in realtà numerose ed in alcuni casi i fusti pieni di sostanze radioattive furono sotterrati nell’entroterra ed in particolar modo in alcune zone isolate dell’Aspromonte. A riprova di ciò lo spiaggiamento in Calabria della nave Jolly Rosso avvenuto nel 1990 ad Amantea il cui relitto fu trovato prontamente svuotato ma con le tracce dello spostamento del suo carico ritrovate poi sulla terraferma.

Il fiorente traffico illecito di rifiuti tossici sarebbe anche alla base della tragedia del traghetto Moby Prince avvenuto nel 1991 nella rada del porto di Livorno, vicenda alla quale abbiamo già accennato.

Ed i fatti del Moby Prince richiamano al traffico marittimo che avveniva con la Somalia dove i residui tossici venivano presumibilmente inviati e poi sotterrati. Come alcune zone dell’Aspromonte anche la traccia stradale costruita in quegli anni in Somalia collegante le località di Garoe a Bosaso sembra sia un sito che nasconde decine di fusti radioattivi nel sottosuolo. Proprio con il sotterramento di rifiuti in Somalia e con tutto il traffico generale che avveniva in quegli anni si imbatterono i giornalisti Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, uccisi poi a Mogadiscio nel 1994, i quali erano anche sulle tracce di una pista che portava al vecchio aeroporto di Kinisia nei pressi di Trapani. Da quella aviosuperficie ufficialmente in disuso e nascosta oramai tra la vegetazione pare atterrassero e decollassero aerei trasportanti rifiuti tossici, droga ed armi.

Kinisia, traffici a parte, non era altro che il CAG 9 “Scorpione” della struttura Gladio della quale abbiamo già parlato nel capitolo inerente.

E fino agli anni ’90 un altro aeroporto segreto, praticamente visibile solo dalle alture circostanti, fu utilizzato per strani traffici alla stregua di quello ubicato nei dintorni di Trapani. Un piccolo aerodromo anche esso in disuso e dimenticato dai più ubicato nel mezzo di una valle petrolifera, la più grande d’Italia, nelle vicinanze di Pisticci in provincia di Matera e dal nome simbolico. Intitolato, infatti, proprio ad Enrico Mattei che da presidente dell’Agip fu il primo ad estrarre l’olio nero da queste terre. Terreni che nascondono, secondo varie indagini, anche essi scorie radioattive nel sottosuolo della pista dello scalo aereo tanto da esser questa stata equiparata alla strada Garoe – Bosaso in Somalia.

Ma oltre al traffico di rifiuti il piccolo aeroporto di Pisticci fu soprattutto utilizzato alla fine degli anni ’90, in gran segreto, come base per aerei della Cia e comunque militari statunitensi sotto copertura Nato per le operazioni belliche in quella che stava divenendo l’ex Jugoslavia. Proprio dall’aviosuperficie di Pisticci, nascosta da occhi indiscreti, decollavano nel marzo del 1999 aerei militari battenti bandiera a stelle e strisce impelagati nei bombardamenti perpetrati su Belgrado atti a far capitolare la capitale serba e porre fine cosi alla cosiddetta “guerra del Kosovo” che andava avanti ufficialmente dall’anno prima. In realtà la guerra scoppiata nella oramai ex Jugoslavia iniziò nel 1991 e numerosi furono i casi inerenti traffici marittimi ed aerei di armi tra paesi nati dalla dissoluzione in atto nei Balcani, quali la Croazia, la Bosnia od il nascente Kosovo appunto, verso l’Italia e vari stati medio orientali a volte utilizzando triangolazioni di paesi terzi quali l’Albania.

Fu proprio un personaggio già citato nel corso della nostra disamina, Massimo D’Alema in qualità di Presidente del Consiglio, a concedere l’autorizzazione a poter utilizzare lo spazio aereo italiano e quindi dare libertà d’azione agli aerei delle basi statunitensi in chiave Nato presenti sulla penisola per i bombardamenti in Serbia. L’autorizzazione prevedeva anche l’utilizzo, celato all’opinione pubblica, di aree per il decollo e l'atterraggio appartenenti allo stato italiano. Come quella di Pisticci appunto e quella ubicata tra Pontecagnano e Bellizzi in provincia di Salerno. L’aeroporto “Costa d’Amalfi” non era dismesso e nascosto come la pista “Mattei” in Basilicata ma essendo ai tempi utilizzata quasi esclusivamente da gruppi di paracadutisti e dall’Arma dei Carabinieri lasciava adito a poche curiosità da parte della popolazione. Per questo motivo personale statunitense, italiano o francese, magari colleghi stessi dei transalpini che arrestarono Carlos “lo Sciacallo” in Sudan nel 1994, potevano passare inosservati da quelle parti.

Per una pura casualità del destino e senza nessun particolare collegamento alle nostre vicende, quando pochi anni fa la Cia rilasciò l’usufrutto dell’aviosuperficie di Pisticci e sulla stessa fu creato un progetto inerente l’utilizzo civile, la gestione dello scalo fu assegnata ad una compagnia con una sede di rappresentanza proprio all’interno del piccolo aeroporto nei dintorni di Salerno.   

L’Italia, in qualità di membro Nato e a differenza della versione ufficiale, partecipò quindi alle operazioni belliche nei Balcani, sia con l’utilizzo di porzioni di suo territorio, sia con dei contingenti dislocati nell’odierna Macedonia del Nord, sia tramite appoggio aereo “di pace” fornito da alcuni stormi dell’aeronautica militare.

Voci non assolutamente confermate e per questo ufficialmente prive di fondamento segnalarono all’epoca movimenti sospetti anche dal piccolo aeroporto di Foligno sede del 20° gruppo appartenente al già citato 4° stormo dell’Aeronautica Militare con base nel già conosciuto aeroporto di Grosseto.

Foligno, località dove si incrociarono numerosi destini di personaggi e storie da noi raccontate come Francesco Narducci, Paolo Bellini, l’aeroclub, il poligono base militare e lo stesso Massimo D’Alema che, ironia del destino, fu proprio indagato negli anni (20)’10 per un volo di Stato effettuato verso l’aerodromo umbro quando era presidente del Copasir, ente esercitante il controllo sull’operato dei servizi segreti italiani.

Nello stesso periodo durante il quale “Baffetto” D’Alema ricopre l’incarico di primo piano al Copasir, il suo delfino Marco Minniti fonda insieme a Francesco Cossiga, padre putativo di Gladio secondo Licio Gelli, la fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis), istituto che si occupa di sicurezza, difesa ed intelligence. Minniti sulla base anche di questa esperienza viene in seguito nominato Sottosegretario di Stato con delega ai servizi segreti per divenire infine, dopo esser stato Ministro degli Interni, presidente della fondazione Med-or, “la seconda gamba della politica estera italiana”, occupandosi anche questa volta di aerospazio, difesa e sicurezza. Med-or promuove le relazioni con l’Oriente ed il Mediterraneo.

L’area geografica ed il mare verso cui si apre una vista globale dalla spiaggia sotto il faro della recondita residenza estiva immersa nella vegetazione di Capo Spartivento.

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Il Gran Maestro Licio Gelli era in ottimi rapporti, sin dai tempi della Permaflex di Frosinone, anche con Giulio Andreotti tanto che alla domanda: “Tra Andreotti e Fanfani a chi farebbe un favore?” Rispose molto diplomaticamente: “Purtroppo, non le posso rispondere perché fino ad oggi nessuno dei due mi ha mai chiesto un favore.”

Con il Divo Giulio i rapporti si strutturarono in seguito maniera molto più particolare. E Non mancò neanche il patto di non belligeranza con Francesco Cossiga.

Come già ricordato lo stesso Gelli parlò di una sorta di spartizione dei poteri di influenza: “Io avevo la P2, Cossiga la Gladio ed Andreotti l'Anello”.

E non per forza bisogna ascrivere tutto alla Massoneria regolare come da molte parti si accusa.

E’ lo stesso Venerabile che lo sottolinea: “Ci sono più «fratelli senza grembiule» che non nei templi”.

Bonus track:

FARNETICAZIONI CINEMATOGRAFICHE

“Direttor lup mann figlio di putt”, “direttor dott ing gran ladr di gran croc pezz di merd", “gran farabutt ladr matricolat caracul", “natural prestanom om di pagl gran test di cazz" sono i titoli professionali ed onorifici che distinguono alcuni personaggi della saga cinematografica di Fantozzi inaugurata nel 1975 con il primo film diretto da Luciano Salce. I film, in particolare i primi due diretti appunto da Salce nel 1975 e nel 1976, sono anche una presa in giro delle posizioni di potere dell’epoca da parte del regista e dell’autore della sceneggiatura, Paolo Villaggio. E già dalla scelta degli appellativi citati traspare una certa dimestichezza con il mondo del potere dei tempi richiamante anche fratellanze massoniche. D’altronde il colto regista Salce era collega e stretto amico di Vittorio Caprioli attore ed iscritto alla Loggia Fulgor della collina di Pizzofalcone a Napoli alla quale fu presentato direttamente da Totò. Salce fu anche il regista della censurata ed oramai praticamente irreperibile pellicola del 1969 “Colpo di stato” nella quale paventava in chiave satirica una batosta elettorale della Democrazia Cristiana ed un tentativo di colpo di stato del Partito Comunista.

Ma se Salce e Villaggio nella metà degli anni ’70 facevano il verso a gruppi di potere quali la P2, nonostante essa si sviluppò soprattutto dal 1976 in poi, lo stesso Villaggio insieme al nuovo regista dei successivi capitoli della saga, il fiorentino Neri Parenti, lanciavamo ipotetici richiami a Gladio. Nel 1980, nello stesso film dove appare la già da noi citata scena della malriuscita telefonata anonima, una sequenza rimanda ad un presunto “centro di raccolta ad Olbia” dove Fantozzi sarebbe stato spedito in caso di punizione. Scena simile nel film del 1983 dove questa volta la minaccia è di “esser trasferiti a Sassu Strittu, frazione di Carbonia”. Capo Marrargiu, la base di Gladio struttura ai tempi sconosciuta, avrebbe dovuto svolgere anche funzione di base segreta per processi e deportazioni in caso di colpi di stato ed in molti asseriscono che fu effettivamente la sede di sequestri lampo istituzionali effettuati in quegli anni. La stessa scena ricalca più volte nelle stesse battute degli attori che “la spedizione ad Olbia” di Fantozzi sarà effettuata dopo averlo “fatto a pezzi, staccato orecchie, braccia e gambe, tagliato in quattro e messo in una valigia”. Parenti, Villaggio e gli altri due sceneggiatori dei primi film della serie, Leonardo Benvenuti da Firenze e Piero De Bernardi da Prato, riprendono la citazione dello smembramento di un corpo umano nel 1981 in “Fracchia la belva umana” nelle scene richiamanti “le gemelle Annette e Babette Brown, uccise, fatte a pezzi e raccolte in una valigia” dalla Belva Umana. All’uscita del film nelle sale il Mostro di Firenze aveva già colpito almeno tre volte.

Nel campo delle curiosità segnaliamo infine che nel 1978 sia Camp Darby che il porto di Livorno furono scelti come location del set cinematografico del film “Lo chiamavano Bulldozer” con Bud Spencer nel quale un gruppo di ragazzi italiani sfida a football americano una squadra di militari della base di “Camp Durban”, così ribattezzata. Anche per il film “Bomber” sempre con Bud Spencer, del 1982, alcune scene furono nuovamente girate al porto di Livorno in analogia con il film precedente.

LUCA PINGITORE

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