"Covid 2019 è un soldato di Allah". Quel filo rosso che lega gli attacchi a Nizza e Vienna

Secondo il ricercatore svedese Micheal Krona, esiste una precisa strategia

"Covid 2019 è un soldato di Allah". Quel filo rosso che lega gli attacchi a Nizza e Vienna
foto di repertorio

Prima Nizza, poi Vienna. Quel che rimane dello Stato islamico ha ripreso la sua campagna di odio verso il cuore della vecchia Europa. Con il Vecchio Continente che sta affrontando la secondo ondata del lockdown, sommare paure su paure è un mix devastante per l’opinione pubblica. Ma è in errore chi immagina che la ripresa degli attacchi da parte del terrorismo islamista sia assolutamente casuale rispetto ai tempi della pandemia. Esiste una strategia precisa e diretta. Non soltanto i “soldati di Allah” definiscono il covid 2019 come un prezioso alleato che attacca gli infedeli ma anche perché, questa stagione di chiusure e coprifuoco è stata utilizzata dai network del terrore per per intensificare le attività di reclutamento e addestramento di nuove risorse. Ed i frutti maligni si iniziano a vedere. Che non sia un’ipotesi campata per aria, lo dimostrano le analisi effettuate dall’Università svedese di Malmö.  Da anni quell’Ateneo tiene sotto controllo e monitoraggio i canali social e mediatici dell'Islamic State.

Secondo il ricercatore svedese Micheal Krona, esiste una precisa strategia. Ai combattenti di Allah sarebbe stato chiesto di non viaggiare. Eventuali attacchi terroristici verrebbero affidati a cellule operative già presenti sullo scenario da colpire. E se questa ricostruzione sembra stridere con quanto avvenuto a Nizza, con l’attacco compiuto da un ragazzo tunisino, sbarcato da poche settimane a Lampedusa, Krona spiega che secondo i dati acquisiti, “l’organizzazione terroristica  ha distorto la pandemia per valorizzare le proprie teorie e in funzione dei propri scopi. L'Islamic State sfrutta l'ombra mediatica e i social media per attirare nuovi seguaci".  Nei bollettini che viaggiano all’ombra della riservatezza digitale, i seguaci del Califfato descrivono il Covid 2019 come “il tormento di Dio sui paesi in cui vige la croce”.

Non è la prima volta che una pandemia stravolge le strategia del terrorismo islamico. Quando nel 2014 apparve l’Ebola, le agenzia di intelligence occidentali segnalarono il rischio dei “black runner”, un lupo solitario disposto a contagiarsi – o almeno a minacciare di farlo via sociale - per seminare il panico. L’ipotesi di una rete di kamikaze virali non venne mai del tutto approfondita, anche se diversi report segnalavano indizi di come la rete jihadista avesse tentato di “entrare in contatto” con  quel virus, definito ai tempi dall’Oms una minaccia globale. Dove? Secondo le indicazioni raccolte, quel contatto letale era stato progettato nei campi di addestramento dell’Isis in Africa  venne ritenuto  altamente possibile che combattenti siano stati in contatto con la malattia.