LA NAZIONE CHE NON POTEVA PIU' VOLARE

Il disastro epocale del trasporto aereo italiano del post Covid19

LA NAZIONE CHE NON POTEVA PIU' VOLARE
lavoratori di Airitaly dimostrano in centro a Milano
LA NAZIONE CHE NON POTEVA PIU' VOLARE

Non è un concetto psicoanalitico ma è purtroppo solo l’amara constatazione di ciò che sta avvenendo nel trasporto aereo di casa nostra, già da tempo sofferente per una gestione manageriale fallimentare e alquanto approssimativa ed oggi precipitato in una profonda crisi a causa dell'emergenza pandemica. 

Certo che il cielo d’Italia per i vettori nazionali è sempre meno azzurro ed in poche settimane assisteremo al naufragio annunciato delle due principali compagnie aeree italiane: Alitalia ed Airitaly, entrambi private, commissariate e partecipate al 49% da capitali arabi, che lasceranno a casa (o in una cassa integrazione che potrebbe essere concessa in extremis dal Governo e solo per pochi mesi) più di 10.000 dipendenti, escluso i pochi fortunati che potrebbero trovare la propria salvezza professionale nella traballante scialuppa di salvataggio chiamata ITA (Italia trasporto Aereo, nome abbastanza bruttino e di scarso appeal) che dovrà subito navigare nelle insidiose acque agitate del trasporto aereo internazionale del post pandemia, solcate dalle corazzate dell’aria straniere che però dispongono di flotte di ben diverso tonnellaggio e dimensioni.

Se i commissari di Airitaly, Franco Lagro ed Enrico Laghi (quest’ultimo ex commissario anche di Alitalia e membro in passato del CdA di CAI) non vogliono sentire ragioni ed hanno annunciato al Governo italiano e ai sindacati del trasporto aereo che a giugno l’azienda chiuderà comunque, non desiderando che vengano concessi ulteriori ammortizzatori sociali per i propri 1400 dipendenti, i tre commissari di Alitalia, Giuseppe Leogrande, Daniele Santosuosso e Gabriele Fava hanno iniziato a parlare in videoconferenza con gli amministratori di ITA, tra cui l’AD Fabio Lazzerini ed il presidente Francesco Caio alla presenza dei sindacati confederali.

C’è una dannata fretta di vendere subito biglietti per non perdere la subentrante stagione estiva e di iniziare le operazioni a partire dal primo di luglio ma al momento il decollo sembra abbastanza difficile se non impossibile.

In primis perché ITA è solo una scatola vuota con una trentina di dipendenti e pochi milioni di euro di capitale sociale anche se con molti consulenti, che non può fare nulla se non rilevare le strutture tecniche organizzative di Alitalia (aerei, hangar, manutenzione, centro addestramento, ufficio commerciale e servizi di handling aeroportuale), per cui ITA ha chiesto ufficialmente di noleggiare 40 aerei dell’ex compagnia di bandiera iscritti oggi nel COA AZ (Certificato di Operatore Aereo: ovvero la licenza ENAC per potere operare i voli passeggeri e cargo) dichiarando di non voler rinunciare ai preziosi slot su Linate che la Commissione UE ha imposto di lasciare liberi alla concorrenza europea ed avendo bisogno al tempo stesso di continuare ad utilizzare i colori ed il brand Alitalia (che è un valore aggiunto per il prodotto italiano ed il “Made in Italy”) per avere un minimo di chance di successo commerciale. 

La commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager che a breve si recherà in visita diplomatica dal premier Mario Draghi per dirimere la spinosa questione è stata lapidaria: “la nuova compagnia aerea deve essere economicamente diversa e del tutto nuova rispetto ad Alitalia” altrimenti si tratta di aiuto di Stato illegale, essendoci già un inchiesta in corso per i prestiti ponte da 900 e 400 milioni di euro concessi ad AZ nel 2017 e nel 2019 che hanno suscitato l’ira e la promessa di una denuncia legale da parte dell’arrembante amministratore della low cost irlandese Ryanair, Micheal O’ Leary, di fatto per movimenti, passeggeri trasportati, basi e numero di aerei sul suolo nazionale, la prima compagnia aerea italiana seguita dalla britannica Easyjet  a cui si affiancano la spagnola Volotea e l’ungherese Wizzair.

ITA quindi non ha attualmente né soldi, né uomini, né aerei per cui il governo italiano vorrebbe stanziare ben un miliardo di euro prelevato dai fondi del Decreto Rilancio per permetterle di acquisire gli asset di Alitalia.

Peccato che questo sia assolutamente contrario a quanto stabilito e sentenziato da Bruxelles con Lufthansa ed Air France che stanno a guardare, forti anche dei miliardi pubblici a loro concessi senza obiezioni dalla UE, visto che erano in attivo prima della pandemia, aspettando solo di cogliere l’Italia in fallo per aprire una procedura d’infrazione contro ITA.

In pratica manca tutto, con tanto da fare e in un tempo assai ristretto!

Ecco allora che Airitaly potrebbe essere strategicamente utile ad Alitalia per superare i vincoli stabiliti da Bruxelles: basterebbe che ITA decidesse di acquisire il vettore italiano posto oggi in liquidazione “in bonis” dalla proprietà detenuta da AQA Holding (costituita da Alisarda SpA e dal colosso mondiale Qatar Airways), per avere una nuova licenza di trasporto aereo subito operativa (l’ex COA IG), assets e slot preziosi, per cui ITA o Airitaly, nome sicuramente più sfruttabile a livello internazionale, se proprio quello storico di Alitalia non si potesse più usare, potrebbe mantenere gli slot su Linate e Fiumicino, acquisendone ulteriori su Malpensa che in caso contrario risulterebbe del tutto abbandonata dai vettori italiani a favore della concorrenza straniera.

In passato fu presa una decisione analoga nel 2008 per mantenere l’italianità della Compagnia di Bandiera, quando i “capitani coraggiosi” guidati allora da Roberto Colaninno unirono Air One e la fallita Alitalia, al tempo ancora pubblica, realizzando CAI (Compagnia Aerea Italiana).

Certo questo richiederebbe una visione lungimirante e da statista da parte dell’esecutivo di Draghi, che in un certo senso porterebbe a sfidare la concorrenza straniera affermando una sorta di sovranismo del trasporto aereo nazionale, ormai da tempo in mano agli stranieri.

Per questo c’è stata una vibrante interrogazione parlamentare da parte dell’opposizione di destra rappresentata da Fratelli d’Italia storicamente legata all’aviazione nazionale, che ha chiesto di unificare le due vertenze, visto che né il patrimonio tecnico e professionale rappresentato dai lavoratori di Alitalia, né tantomeno da quelli di Airitaly, possono essere dilapidati in un Italia ferita mortalmente dal Covid19 nel settore del turismo e dei trasporti.

Purtroppo la risposta dei ministri del MISE Giancarlo Giorgetti e delle Infrastrutture Enrico Giovannini è apparsa al momento non soddisfacente, essendo la situazione già molto complicata, né sono serviti gli sporadici appelli lanciati da alcuni onorevoli del PD e del M5S dell’Esecutivo di Governo e dai Governatori leghisti di Lombardia e Sardegna Fontana e Solinas che hanno incontrato recentemente i sindacati confederali.

Per sopravvivere oggi nel mercato ipercompetitivo del trasporto aereo internazionale servono le spalle grosse e flotte di aeromobili wide body, non è certo sufficiente una dimensione da vettore “regional” come quella ipotizzata dall’AD di ITA, visto che con la concorrenza dei treni ad alta velocità, il futuro dei voli di linea sarà soprattutto sul lungo raggio oltre che sul Cargo, rivitalizzato dai trasporti porta a porta e dalle vendite on line dovuti all’emergenza Covid19.

ITA se nascesse come previsto così piccola e rachitica avrebbe già i giorni contati, non potendo garantire costi per sedile e numero di passeggeri per kilometro sufficienti a stare sul mercato, soprattutto con un network così ridotto venendo presto fagocitata dalla concorrenza straniera che non aspetta altro.

Sicuramente i colossi stranieri, che da tempo trasportano i turisti in Italia da tutto il mondo, non sarebbero felici di vedere una nuova compagnia aerea nazionale a capitale pubblico forte e di dimensioni adeguate operare voli intercontinentali (tra cui ricordiamo anche Emirates a cui furono concessi privilegi in V Libertà dell’Aria per volare direttamente da Malpensa a New York con voli originanti dal territorio nazionale e non in prosecuzione da Dubai, come avviene in tutte le altre nazioni europee) ma non lo gradirebbero neanche i piccoli vettori italiani sopravvissuti in maniera darwiniana e con grande determinazione al crollo del mercato dovuto alla pandemia, come Air Dolomiti di base a Verona, da tempo in utile grazie alla partecipazione di Lufthansa, la lombarda Neos che opera da Malpensa con una flotta di nuovissimi 787 e 737 Max e che ha appena annunciato nuovi voli verso gli USA e la piccola Luke Air (ex Blue Panorama oggi con COA maltese) specializzata in voli charter.

Di sicuro la nascita di una nuova compagnia aerea di bandiera nazionale potrebbe consentire di impiegare ancora proficuamente un capitale umano fatto da migliaia di professionisti del settore aeronautico che altrimenti costituirebbero le ennesime vittime sociali del disastro economico arrecato al mondo dal virus cinese.