La Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza offre l’occasione per formulare delle riflessioni concernenti la tutela e l’esercizio del diritto all’istruzione.
In conseguenza della situazione contingente, come noto, sono state adottate “metodologie” di didattica che hanno ancor più evidenziato le disuguaglianze in tema di accesso effettivo all’anzidetto diritto nelle sue molteplici esplicazioni. A tal riguardo, vorrei iniziare le mie riflessioni cominciando con le parole – ancor piene di attualità – di un grande Filosofo dell’Antichità, Aristotele. Egli, nel Libro VIII della Politica (2, 1137, a 33-34), afferma come “debbano essere promulgate leggi sull’educazione…e che questa debba essere impartita a cura della comunità…”, espressione che va letta ponendo mente all’obiettivo primo della filosofia greca: la formazione dell’uomo.
Lo stesso termine paideia indica non solo l’istruzione dei fanciulli in senso proprio ma, altresì, lo sviluppo etico e spirituale dell’individuo. La paideia, dunque, è attività che mira alla formazione totale del fanciullo, affinché egli diventi uomo e cittadino.
Compito primo della Comunità/Stato, è, pertanto, quello di assicurare, attraverso la promulgazione di “leggi sull’educazione”, il fiorire della vita dell’individuo in divenire.
Il ruolo centrale dello Stato nella cura della formazione del giovane si rende manifesto nel corso dei Secoli – fulgido esempio ne è Federico II, lo “Stupor Mundi”, a cui è dovuta, tra l’altro, l’opera fondazionale dello Studium napoletano, la prima Università nata per volontà del potere politico – e si riversa, non senza lotte e sconvolgimenti eccezionali, nel testo dell’articolo 34 della nostra Costituzione, che i Padri costituenti vollero strutturare in modo che fosse la neonata Repubblica a farsi carico – e in ciò non può non udirsi l’eco degli insegnamenti aristotelici – della creazione di un sistema educativo universale.
È certo assai significativo ricordare le parole con cui l’articolo 34 esprime questo fondamentale concetto. Al comma 1 la norma dispone: “La scuola è aperta a tutti”, soggiungendo, al comma 4, “La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
È compito primario della Repubblica, dunque, assicurare alla generalità dei fanciulli e dei giovani l’effettivo esercizio del diritto universale all’istruzione, che deve attuarsi attraverso la fondamentale opera “creatrice” della Scuola e che, soprattutto, deve esplicarsi senza diseguaglianze, le quali purtroppo oggi si stanno perniciosamente verificando nell’accesso difficoltoso e spesso negato a varie parti del Paese al sistema telematico della didattica a distanza.
D’altro canto, a livello internazionale, la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza condensa mirabilmente, agli articoli 28 e 29, ciò che si fa risalire alla Filosofia classica e al pensiero degli antichi Maestri. All’articolo 28, infatti, si afferma: “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione…” – con ciò quasi a voler indicare la natura “precostituita” del diritto all’educazione – che gli Stati si limitano, per tal ragione, a riconoscere e a promuovere attraverso opportune leggi sull’educazione, specificandosi, all’art. 29, come l’educazione stessa debba avere, tra le altre finalità, quella di “favorire lo sviluppo della personalità”.
Ecco, allora, come l’occasione offerta dalla celebrazione odierna consenta di tornare a riflettere, enfatizzandone il ruolo fondamentale in questo particolare momento storico, intorno all’incoercibile compito che incombe sulla Repubblica. È necessario che essa, gestendo l’emergenza didattica con criteri effettivi di eguaglianza territoriale e di sostanza didattica e poi superando l’emergenza medesima, torni a ponderare sull’importanza indiscussa del diritto all’educazione, unica vera ed universale strada per la formazione dell’uomo e del cittadino del domani. Nella Lettera a una professoressa si trova scritto: “La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde”: oggi, la Repubblica, non può permettersi di perdere più nessuno e l’Italia tutta ha bisogno di riunire ciò che questa pandemia sta pericolosamente disperdendo, soprattutto tra i giovani, gli uomini del domani.