Giuliano Predolini, morto per provare un macchinario
operaio transfrontaliero di Gemonio vittima di un infortunio sul lavoro l’11 febbraio scorso alla Trasfor, nel Canton Ticino
E’ MORTO PER MOSTRARE IL FUNZIONAMENTO DI UN MACCHINARIO PERICOLOSO AI RESPONSABILI DELLA SICUREZZA DELL’AZIENDA, CHE HANNO FILMATO TUTTO
Lo sconcertante destino di Giuliano Predolini, l’operaio transfrontaliero di Gemonio vittima di un infortunio sul lavoro l’11 febbraio scorso alla Trasfor, nel Canton Ticino
E’ morto per mostrare ai responsabili della sicurezza dell’azienda, che hanno filmato tutto, il (mal) funzionamento di un macchinario che dava problemi, per renderlo più sicuro. Emergono particolari inquietanti dall’inchiesta sulla morte di Vincenzo Giuliano Predolini, l’operaio transfrontaliero di 44 anni, di Gemonio (Va), vittima di un infortunio sul lavoro l’11 febbraio nello stabilimento della Trasfor SA di Molinazzo di Monteggio, nel Canton Ticino, in Svizzera: ha lasciato la moglie, assistita da Studio3A, una figlia di 12 anni e uno di due. Sulla tragedia il Procuratore Pubblico del Ministero Pubblico (l’omologo svizzero della Procura della Repubblica) del Cantone Ticino Paolo Fäh ha aperto un procedimento penale, al momento contro ignoti, per omicidio colposo, coadiuvato dalla Polizia cantonale nelle indagini.
Quel pomeriggio l’ex responsabile della sicurezza della Trasfor, che si occupa della costruzione di trasformatori per mezzi di trasporto, e la collega che lo aveva appena sostituito stavano effettuando un sopralluogo nel reparto di produzione, quando hanno notato che, operando su una punzonatrice, un collega della vittima rischiava di rimanere con la mano schiacciata, e così si sono fermati a discutere su come migliorarne la sicurezza. E’ allora che hanno chiesto un parere a Predolini, che si trovava vicino a loro, il quale, già che c’era, li ha invitati a esaminare il funzionamento di un altro macchinario, una piegatrice Apollo P400, che a sua volta abbisognava, secondo l’operaio, dell’adozione di misure di sicurezza in più.
La dimostrazione, filmata con il cellulare dalla nuova responsabile della sicurezza per studiare l’introduzione di correttivi, iniziata alle 15, è infatti finita in tragedia. Predolini ha azionato il macchinario, prima a secco e poi ha inserito una sbarra di alluminio dello spessore di 12 mm. La pressa ha iniziato la sua corsa schiacciando l’alluminio contro un perno che ne dà la forma finale, in questo caso doveva essere a 90 gradi, ma che improvvisamente si è spezzato colpendo l’addetto come un proiettile, unitamente alla sbarra, all’addome. E’ morto due ore dopo, all’ospedale regionale di Lugano, in sala operatoria, mentre i medici lo sottoponevano a laparotomia d’urgenza, per “shock emorragico acuto per le molteplici lacerazioni epatiche conseguenti al trauma toracico-addominale, ad alta energia, occorsogli durante l’attività lavorativa”, come ha concluso il medico legale, dott.ssa Luisa Andrello, a cui il Procuratore ha affidato la perizia autoptica.
Una dinamica che evidenzia già palesi responsabilità in capo all’azienda, al di là della posizione dell’operaio, che avrebbe dovuto operare lateralmente rispetto al macchinario e non frontalmente, cosa che però ha fatto sotto gli occhi dei responsabili della sicurezza della ditta, che avrebbero dovuto intervenire. Ma è soprattutto sulla piegatrice che si concentrano le perplessità degli inquirenti. Un macchinario che, come si è potuto evincere, era usato poco e solo da un paio di addetti, tra cui Predolini, e che veniva controllato solo da chi lo usava e non dai responsabili della manutenzione dell’impresa: non è mai stato tenuto un diario delle manutenzioni e non ve n’erano in programma. Ma oltre a ciò andrà appurato se e chi abbia manomesso la piegatrice, perché Predolini, probabilmente inconsapevolmente, l’ha utilizzata con innestato un programma sbagliato, per la piegatura di un materiale dello spessore di 6 millimetri e non 12. Sarebbe accaduto che la pressa, impostata per un avanzamento maggiore rispetto a quanto necessario per la piegatura di uno spessore di 12 mm, avrebbe continuato la pressione cercando di arrivare allo spessore impostato, per una lamiera di spessore inferiore; giunta in battuta non si sarebbe pertanto fermata spezzando il perno, fermo restando però che il macchinario avrebbe dovuto avere un sistema di sicurezza tale da fermare il pistone e far arretrare la pressa in caso di mal funzionamento o di pressioni troppo elevate: sistema di sicurezza che o non c’era o non si è attivato. Gli inquirenti hanno notato nel macchinario anche un “ponte elettrico” nella centralina, dispositivo abitualmente usato per bypassare e spegnere una spia di sicurezza, onde velocizzare il lavoro.
Sarà fondamentale un accertamento ad hoc sul macchinario per stabilirne l’effettiva manomissione e se tali modifiche avessero lo scopo di eludere le sicurezze della piegatrice. Sarà il prossimo passo dell’inchiesta, con l’affidamento da parte del Procuratore a un esperto di una perizia tecnica sulla piegatrice. Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, a cui i familiari della vittima, attraverso l’Area Manager Riccardo Vizzi, si sono rivolti per ottenere giustizia, sta monitorando, anche con la collaborazione di un legale del posto, le indagini e metterà a disposizione un proprio consulente tecnico di parte sia nel contraddittorio per formulare i quesiti da porre al Ctu sia per partecipare nel alle operazioni peritali. Studio3A inoltre ha già avviato un confronto con la Trasfor per ottenere un rapido e congruo risarcimento per i propri assistiti: una vedova con due figli minori che, oltre a chiedere giustizia, è rimasta sola a mandare avanti la sua famiglia e ha bisogno di tutto il sostegno, anche economico, possibile.