Coppa America. Dov'è la gioia?

“Ma come siamo già a questo punto?” è la prima cosa che mi viene da dire.

Coppa America. Dov'è la gioia?

Dov’è la gioia?

Si sono conclusi i round robin e gli inglesi di Ineos sono in finale della Prada Cup, dove verranno raggiunti da chi tra Luna Rossa e American Magic a partire da venerdì conquisterà quattro vittorie.

“Ma come siamo già a questo punto?” è la prima cosa che mi viene da dire.

L’America’s Cup è il Grande Sogno da 170 anni. La sua storia è piena di fatti straordinari che ne hanno creato la leggenda. Una leggenda che ti rapisce tra le sue spire e che non ha eguali e non si può accettare che dopo un pugno di regate tra tre soli sfidanti si sia giunti in prossimità del redde rationem.

La Coppa America ha uno spartiacque ben preciso, il 1983. Quell’anno a Newport sei challengers si sfidarono nella prima edizione della Vuitton cup per contendere agli americani la Vecchia Brocca. Le immagini ormai sbiadite di quel tempo e i racconti di chi c’era mostrano come, oltre a voler conquistare l’Auld Mug, quei marinai avevano dentro di loro una grande gioia per poter vivere questa avventura straordinaria. Gioia che trasmisero ai presenti e a chi seguiva gli scarni resoconti e i rari video che arrivavano dal Rhode Island. Poi gli australiani compirono la grande impresa e, dopo 132 anni, strapparono al New York Yacht Club – che l’aveva addirittura imbullonata – l’Americas’ Cup.

Tra quegli sfidanti vi era anche Azzurra, progenitrice poi di altre sfide italiane. Dal Moro di Venezia 1992 – che vinse la Vuitton Cup e per la prima volta portò una barca italiana a competere per l’America’s Cup – a Luna Rossa che lo emulò nel 2000 noi italiani associamo quelle due sfide soprattutto alle nostre notti insonni. Dapprima da San Diego quindi da Auckland i diversi fusi orari ci costrinsero a mutare le nostre abitudini, regolandole sulle regate della notte.

Una magnifica estasi collettiva ci prese e al mattino, assonnati ma felici, ci recavamo al lavoro discutendo di tangoni e strambate. Quelle due barche ci avevano dato gioia.

Poi arriva Valencia. Nel 2007, in una città incantevole, si visse quella che fu l’edizione più gioiosa dell’America’s Cup. Arrivare al media Center alle dieci del mattino e lasciarlo solitamente a mezzanotte – ma spesso anche a notte inoltrata – dopo aver vissuto le regate sulla Media boat, aver scritto il pezzo e quindi aver cenato, spesso nelle basi dei team, per poi andare a bere qualcosa in Plaza de la Reina e magari terminare la giornata facendo l’alba sulla spiaggia – era una gioia infinita.  Nel weekend il port America’s Cup si riempiva di gente – quasi due milioni di persone durante le sfide decisive – dall’Italia le signore guardavano le sfide mentre stiravano, gli studenti facevano pausa e in molti luoghi di lavoro, ufficialmente o di straforo, i match race erano seguiti.

Questa era la gioia che aveva dato a miliardi di persone l’America’s Cup.

Dopo quattro anni di attesa i round robin sono già terminati e ci si approssima all’evento finale. Vincere l’America’s Cup è conquistare il Grande Sogno per chi vi riesce ma a miliardi di appassionati sparsi in tutto il pianeta interessa vivere le emozioni uniche che solo la Vecchia Brocca sa dare.

Abbiamo bisogno che l’America’s Cup torni a dare gioia.