Ciro e Paola, storia di ordinaria misoginia
Celebrati i funerali della ragazza uccisa dal fratello. L’accusa è omicidio preterintenzionale
Celebrati i funerali della ragazza uccisa dal fratello. L’accusa è omicidio preterintenzionale
Ciro e Paola, storia di ordinaria misoginia.
‘O femminiello, in lingua napoletana femmenèllo, è un termine usato a Napoli per definire un maschio con sembianze ed espressività tipicamente al femminile. Assurto a figura tipica della cultura tradizionale partenopea, il femminèllo è profondamente radicato nel tessuto sociale locale, considerato portafortuna – in un contesto fortemente scaramantico – collocato perciò in una posizione privilegiata, specie nei quartieri storici, tanto da essere inserito in manifestazioni di folklore, tombolate solo al femminile, addirittura sceneggiate che raffigurano un antico rito: “la figliata dei femmenelli”. Non è raro, nella colorita narrazione riferita alla capitale del Sud, trovare tale raffigurazione della realtà transessuale in letteratura, nel cinema, nella musica, in inchieste giornalistiche, perfino in talk-show di tendenza progressista. Uomini che si sentono donne. Mai il contrario. Ciro e Paola, la storia che ha sorpreso l’Italia, con la feroce lezione inferta dal fratello alla giovane innamorata della ragazza con sembianze da uomo, dimostra che no, una donna non può cambiare sesso, non può essere libera di amare. Come era facile aspettarsi, in tanti hanno tentato di dare un senso a questa inspiegabile esecuzione, affibbiando improbabili etichette, tutte volte a inserirla nell’odio verso il trans, il diverso. La politica in prima fila, si interroga sulla necessità di approvare una legge anti omofobia ma il confine con il mero esercizio retorico in questo caso è molto labile. Così come è fragile l’accostamento della vicenda dei due innamorati alla morte di Willy, facendo appello a un diffuso sentimento di odio, che sarebbe presente in vasti strati della nostra società. In realtà, la vicenda del prato verde di Caivano, deve essere letta in riferimento al contesto. Maria Paola Gaglione è morta non tanto per lo stigma verso il diverso ma in quanto donna che trasgredisce, rovesciando il cliché comune: ama Ciro, una donna che cambia sesso e nella società ancora misogina questo non è consentito. Non è ben visto nella degradata periferia partenopea, in cui i bimbi volano dal terrazzo per presumibile volontà di pedofili, nel quartiere abbandonato dove soltanto i preti di strada sono rimasti a combattere l’impossibile. Caivano, l’inferno in cui i rappresentanti delle istituzioni, che ora imperversano a reti unificate, non si sono mai visti. Primeggia su tutte la voce di Ciro, che ha avuto parole toccanti su questa vicenda: “amare significa lottare, amare tutti, senza avere paura di niente e di nessuno” ha detto ai microfoni di “Ogni Mattina”, la popolare trasmissione in onda su Tv 8. “Ci vedevamo sul balcone – continua - è stato un amore bellissimo, che non si può dimenticare. Il nostro sogno era una casa insieme. Ci vuole tanto coraggio per amare. Non so perché non hanno capito il nostro amore, per loro eravamo due donne senza un futuro davanti. Paola si è innamorata di me per quello che sono, ci ha messo il cuore. È l’unica ragazza che mi ha amato veramente, ha capito com’ero. Ha avuto il coraggio di sfidare la sua famiglia ed è difficile, non lo fanno tutti, eravamo solo noi due, una cosa”. E proprio la famiglia appare come il primo ostacolo a questa storia, con la mamma di Maria Paola che sembra aver più volte spinto la ragazza a finirla con questo legame, per loro molto imbarazzante. Una storia in cui non ci sono vincitori o vinti ma soltanto degrado morale e miseria spirituale. C’è la figura del fratello, maschio dominante che considera la donna quale sua proprietà e non conosce le varie sfaccettature dell’amore. Si erge a professore decidendo di “dare una lezione”, quale giudice indiscusso, alla sorella. Voleva umiliarla senza ucciderla, quasi che una umiliazione gli fosse consentita per diritto ereditario. Come se la ragazza fosse di sua proprietà, da dominare a livello psicologico e fisico. L’elemento più impressionante, insieme alla feroce punizione, è il linguaggio. Si doveva punire Ciro perché “aveva infettato la sorella”. Proprio così, mutuando le parole dalla tragedia della pandemia che ha colpito il mondo, Michele Antonio, ora in carcere con l’accusa di omicidio preterintenzionale, ha traslato l’immagine del virus su un sentimento, profondo e autentico. Un pensiero che fa rabbrividire. E la famiglia Gaglione, per respingere le accuse di omofobia, ha rivolto attraverso l'avvocato Francesco Luigi Marini un invito ralla "comunità gay" a rendere l'ultimo saluto a Maria Paola. “La comunità gay - si legge - è invitata a rendere l'ultimo saluto a Maria Paola e a partecipare 'insieme' alla famiglia Gaglione-Zanfardino alla cerimonia religiosa”. Una pezza che è peggiore del buco, per dirla in modo prosaico. Un rattoppo che non corregge i personaggi negativi che abitano le storie sbagliate, vivono in paesaggi critici dove tutti i cittadini impiegano un nonnulla a diventare esperti di questo o quel tema, arrivando a definire contagioso l’essere trans o peggio, pericoloso per la salute umana. Il desiderio di Ciro è stato vedere Maria Paola per un’ultima volta. “Le voglio dire che l’amerò sempre, la porterò sempre dentro di me”. La forza di queste parole è l’unica guida, in una storia così feroce.
Michel Emi Maritato