Terrorismo e migrazioni, quell'allarme che l'Europa finge di non conoscere
I lupi solitari del terrorismo islamico si infiltrano tra i migranti per arrivare in Europa. La verità viene alla luce quando è troppo tardi, come a Nizza. Non è semplice capire cosa accade e spesso il confine tra i martiri delle migrazioni e i rischi potenziali sono talmente sottili da non poter accertare la verità dei fatti. La storia di Shadi Kataf.
Soltanto il vento può fermare l’onda migratoria che dall’Africa fa rotta verso l’Europa. La prima tappa è Lampedusa, la porta del Vecchio continente. Scappano in massa dalla guerra, dalla fame e dalla violenza dei campi di tortura libici. Ma tra loro ci sono anche criminali e “lone wolf”, giovani radicali islamici pronti ad abbracciare il dogma del jihad, Ma nella narrativa mainstream è quasi un peccato mortale sostenere che tra quella massa di disperati si nascondano le nuove leve del terrorismo di matrice islamica.
Eppure, si contano già le vittime di questa infiltrazione che avviene goccia dopo goccia. I ragazzi del Califfo hanno colpito a Nizza. E prima di loro c’era stato anche Anis Amri, il tunisino che dopo avere colpito al Mercatino di Natale in Germania si era dato alla fuga nelle autostrade europee per concludere la sua vita in un conglitto a fuoco con la polizia italiana in una stazione ferroviaria di Milano.
Nessuno può oggi negare che il fenomeno migratorio vada lenito. Nessuno può immaginare di fermare quell’onda umana senza prima aver reso giustizia all’intero Continente nero, saccheggiato e depredato dall’ingordigia dell’Occidente. Ma quello che ci raccontiamo non è vero. Negare che quel flusso migratorio possa essere strumentalizzato dalle reti del terrore è un falso storico. E continuare a negarlo è un danno che ostacola, e non poco, chi quel fenomeno eversivo deve contrastare.
Per smantellare le piste eversive, gli investigatori europei sono costretti a mettere buchi a legislazioni precarie, a modalità operative che fanno acqua da tutte le parti. Niente è come appare. E può anche capitare che le celebrazioni post mortem dei migranti caduti alla ricerca di un futuro migliore, raccontino storie di donne e uomini in realtà armati delle peggiori intenzioni.
La verità non esiste e spesso l’apologia del migrante martire potrebbe anche coincidere con il peggiore dei nostri incubi.
Con tutto il rispetto che si deve a chi ha perso la vita, ci sono storie che vanno raccontate. Non per gettare fango sulla memoria, ma per cercare semplicemente di interpretare la realtà. E questa che segue è una storia che da qualsiasi prospettiva la si guardi non ha un lieto fine. E’ la storia di un ragazzo che si chiamava Shadi Kataf. L'unica cosa certa è che Shadi Kataf, siriano di Damasco, nato nel 1976, è morto ad ottobre del 2014 nella disperata impresa di raggiungere a nuoto le coste britanniche, partendo munita di una sola tuta da sub dalle spiaggie di Calais. I suoi resti saranno ritrovati al largo delle coste olandesi soltanto all'inizio del 2015 e il riconoscimento ufficiale avverrà a giugno, dopo l'esame del Dna. Insieme a Mouaz Al Balkhi, altro migrante siriano, Shadi aveva progettato di attraversare il canale della Manica a nuoto. Anche Mouaz morirà in quel disperato tentativo di superare i controlli della frontiera francese, dove migliaia di migranti si ammassano tentatndo di nascondersi all'interno dei tir in transito per raggiungere la Gran Bretagna. La storia di Shadi Kataf e Mouaz Al Balkhi aveva commosso il mondo diventando il paradigma del dramma delle migrazioni dall'Africa e dal Medio Oriente. Quel dramma nel canale della Manica era stato raccontato con dovizia di particolari da Andres Fjielberg, giornalista danese di Dagblaet. Fjellberg riesce a ricostruire i momenti in cui i due ragazzi siriani acquistano le mute da sub da utilizzare per la traversata. E ricostruisce anche nei minimi dettagli lastoria di Mouaz ma ammette di non sapere come e quando i due si sarebbero conosciuti. Nel reportage, la storia di Shadi viene raccontata così “ Shadi, a couple of years older than Mouaz, was also raised in Damascus. He was a working kind of guy. He ran a tire repair shop and later worked in a printing company. He lived with his extended family, but their house got bombed early in the war. So the family fled to an area of Damascus known as Camp Yarmouk. So Shadi and one of his sisters, they fled to Libya. This was after the fall of Gaddafi, but before Libya turned into full-blown civil war. And in this last remaining sort of stability in Libya, Shadi took up scuba diving, and he seemed to spend most of his time underwater. He fell completely in love with the ocean, so when he finally decided that he could no longer be in Libya, late August 2014, he hoped to find work as a diver when he reached Italy. Reality was not that easy”. E' lo stesso giornalista ad ammettere di non sapere molto di come Shadi sia arrivato in Italia. L'unica comunicazione che ricostruire risale al 7 settembre del 2014, quando Shadi chiama al telefono un cugino che vive in Belgio: He said, "I'm in Calais. I need you to come get my backpack and my laptop. I can't afford to pay the people smugglers to help me with the crossing to Britain, but I will go buy a wetsuit and I will swim."
Ma quella storia ufficiale stride con una vecchia nota dell'antiterrorismo italiana. E' datata 19 settembre 2014. Quell'informazione gettava le basi per inchieste aperte dalle Procure siciliane sulla potenziale presenza di terroristi tra i clandestini sbarcati in Sicilia in quei giorni di tre anni. Nel file dell'antiterrorismo viene riportata la la testimonianza di Aly Hassan, un cittadino egiziano. Aly è arrivato in Sicilia, a Porto Empedocle, il 13 settembre del 2014. Durante la traversata dalla Libia alla Sicilia ha conosciuto due ragazzi siriani. Uno di loro si chiamava Shadi Kataf, siriano. L'altro, un palestinese di nome Mohamed. Il racconto che Hassan fornisce agli investigatori è molto preciso: l’uomo descrive i due ragazzi alla stregua di integralisti pronti a combattere sul suolo italiano e li identifica tra centinaia di schede foto segnaletiche. Aggiunge anche di aver parlato con loro e sostiene, nel colloquio con gli investigatori, di aver saputo che sono giunti in Italia, per congiungersi a un gruppo jihadista già presente a Roma. Il loro obiettivo - si legge nella nota del Viminale - è Il Vaticano. Per i funzionari della Digos è una corsa contro il tempo. Shadi e Mohamed sono stati schedati e fotografati allo sbarco ma poi sono stati inviati in una struttura di prima accoglienza. Quando gli agenti tentano di raggiungerli, sempre a settembre del 2014, dei due non c’è più traccia. Da quel momento in poi, per gli investigatori è buio totale. E' un caso di omonimia? Possibile che due siriani con lo stesso nome e la stessa data di nascita siano arrivati in Sicilia con la stessa ondata di sbarchi. Aly Hassan ha detto la verità? Ha confuso le persone e forse c'è un terrorista libero di agire in Europa di cui non si conosce l'identità perchè la sua foto è stata assegnata al nome del migrante morto nel canale della Manica? Shadi Kataf riposi in pace.