Antonino Salsone:lavorare per il bene dell'Italia
I disagi del dopo covid
Lavorare al bene e al progresso dell’Italia.
Il lungo “lockdown” che l’imprevedibile evento del “Covid-19” ha imposto a tutti gli italiani ha determinato innumerevoli e negativi effetti, primo tra tutti quello mortifero di decine di migliaia di nostri connazionali. Tra i tanti effetti di questa straordinaria ed epocale situazione, v’è stato anche quello della sconfinata produzione legislativa: decreti legge, dpcm, decreti ministeriali, ordinanze della Protezione Civile, ordinanze regionali, ordinanze comunali, insomma un mucchio di provvedimenti che spesso si sono rivelati in contrasto tra loro e hanno generato dannosa confusione, persino tra gli operatori del diritto (figurarsi tra la gente).
Certo, la situazione grave e imprevedibile, unita all’emotività tipica di una situazione pandemica che, specie nella sua prima e sconosciuta prima fase, ha mietuto migliaia di vittime e generato una paura generalizzata in noi tutti, è stata complessa da gestire e quindi, se errori vi sono stati, questi vanno visti e letti anche con la lente dell’oggettività e della comprensione.
Ciò che però questo periodo pandemico avrebbe dovuto determinare nelle forze sociali che compongono l’asse decisionale della società, in primis la politica, sarebbe dovuto essere il coraggio di unirsi in un afflato e in un’azione comune riformatrice idonei a rigenerare dalle fondamenta questo Paese.
Non voglio fare l’elenco dei “mondi possibili” che si sarebbero potuti realizzare poiché sarebbero davvero tanti. Mi limito a indicarne uno.
L’Italia ha bisogno di rinnovare il proprio patto sociale e di ricreare il patto di fiducia tra il popolo e i propri rappresentanti. E questo momento storico così gravido di eccezionalità (che tutti auspichiamo essere un unicum) avrebbe dovuto essere l’occasione propizia per dare luogo a una riforma costituzionale utile a far rinascere in ogni donna e in ogni uomo del Paese la fiducia verso i governanti.
Penso a una riforma costituzionale prevedente che possano essere eletti (elettorato passivo) a cariche parlamentare e istituzionali soltanto le persone che abbiano dimostrato di aver già svolto una vita lavorativa effettiva per almeno 15 anni, con documentazione integrata dal regolare adempimento delle dichiarazioni fiscali per il lavoro svolto. Si eviterebbe in tal modo di mettere il Paese in mano a tanti "giovanotti" sprovveduti, privi di qualsiasi esperienza, che solo il lavoro fornisce.
La base culturale di questa proposta è l'articolo della 1 della Costituzione, il quale prevede che la Repubblica italiana è "fondata sul lavoro".
Prendendo a prestito le parole di Leibniz, uno dei “geni universali” della storia umana, questa riforma potrebbe concretizzare uno dei “mondi possibili” (cioè idee nella mente di Dio) preconizzati dal pensatore tedesco.
Basterebbe volerlo e agire di conseguenza, con serietà e senno. Basterebbe pensare al Canto degli Italiani e dare concretezza all’incipit: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”.