Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 3° PARTE

Fatti ed intrecci poco noti che dall'Italia centrale segnarono la storia dell'intera penisola

Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 3° PARTE

La storia d’Italia dal dopoguerra in poi si è dipanata in un groviglio di vicende dai contorni nebulosi e mai chiariti. Esiste però un filo teso lungo tutti questi anni che sorregge la matassa di intrecci inconfessabili di poteri, criminalità ed apparati nazionali ed esteri. In questa lunga disamina non sono raccontati gli avvenimenti, sviscerati in migliaia di pubblicazioni e liberi di essere studiati per conto proprio, che hanno caratterizzato la nostra storia recente. La seguente indagine si pone l’obiettivo di divulgare fatti ed intrecci poco noti, magari qualcuno anche inedito, degli anni caratterizzati dalla cosiddetta “strategia della tensione”. L’analisi muove dalla zona geografica del Centro Italia, la regione anticamente conosciuta come Etruria, dove numerose vicende hanno avuto luogo o base operativa ed hanno poi segnato il resto della penisola oltrepassando i confini nazionali in ragione del ruolo strategico che l’Italia ha sempre ricoperto. Un discorso che si dispiega tramite collegamenti e curiosità che propone una visione d’insieme sulle intricate vicende spesso divulgate come singole e separate ma in realtà tutte correlate l’una con l’altra. Solo in questo modo si potrà comprendere la reale portata di quello che è avvenuto e che in realtà non è mai terminato. Molto si è solo trasformato e rigenerato.

Il report è pubblicato a puntate così suddiviso:

1° Parte:

  • L’anonima sarda
  • I draghi neri, l’italicus e le morti indotte
  • Fiumicino ed i dirottamenti

2° Parte:

  • I latifondi di nobili e politici in Etruria ed il geometra dell’anello
  • L’ufficiale del sismi e Firenze capoluogo della “strategia della tensione”
  • Il mostro di Firenze

3° Parte:

  • Foligno, gladio ed i destini incrociati
  • Dal caso moro ai legionari del mostro di Firenze
  • I legionari a Bologna
  • I corpi sconosciuti di Erlangen

4° Parte:

  • I dettagli familiari della loggia p2
  • Il magistrato sempre presente

5° Parte:

  • I porti di Livorno e Talamone
  • I politici dell’autostrada ed il caso moro
  • Petrolio e giornali
  • I rifiuti tossici, le bombe su Belgrado, gli aeroporti segreti ed i dossier dei servizi
  • (bonus track) Farneticazioni cinematografiche

FOLIGNO, GLADIO ED I DESTINI INCROCIATI

Francesco Narducci oltre San Casciano Val di Pesa in Toscana frequentava assiduamente anche Foligno in Umbria, località dove in uno studio esercitava la professione medica privata alternandola a quella pubblica nell’ospedale di Perugia.   

Nonostante già dagli inizi della serie delittuosa egli fosse nella lista dei sospettati essere il Mostro di Firenze, elemento confermato come visto anche da indagini e pedinamenti effettuati in maniera riservata dai poliziotti perugini Napoleoni e Petri, entrò ufficialmente nella vicenda solo anni dopo la sua morte quando, proprio a Foligno, spuntò una segnalazione anonima a suo carico durante una intercettazione telefonica. Narducci sin da giovane aveva dimestichezza con alcuni tipi di armi praticando egli la caccia ed essendo socio e frequentatore del poligono di tiro di Umbertide, non lontano da Perugia. Secondo alcune testimonianze sembra fosse anche in possesso di una pistola del tipo presumibilmente utilizzata dal Mostro di Firenze.

Ma Foligno incrocia un altro personaggio impelagato in strane vicende di quegli anni. Nel periodo tra gli anni 1977 e 1981, infatti, visse nella cittadina umbra Paolo Bellini. La storia di Bellini si dipana dagli anni della “strategia della tensione” fino alla “stagione delle bombe” dei primi anni ’90. Secondo alcuni pentiti di mafia, organizzazione con la quale avrebbe avuto contatti diretti, sarebbe addirittura stato uno degli ispiratori delle bombe ai siti d’interesse artistico tra le quali quella del 1993 in via dei Georgofili a Firenze.

Il suo nome fu invischiato anche nella vicenda del rapimento dell’assessore campano Ciro Cirillo ma soprattutto pare ebbe un ruolo fondamentale nella strage di Bologna per la quale giusto in queste settimane è stato rinviato a giudizio. Proprio il Procuratore della Repubblica di Bologna del tempo, Ugo Sisti, la sera dopo la strage fu scoperto per caso “a riposare” a Reggio Emilia nell’hotel di Aldo Bellini, il padre di Paolo e contiguo a movimenti estremisti. Paolo, latitante per omicidio dal 1976, dopo esser scappato in Brasile rientra in Italia sotto false generalità e viene fatto installare come ospite fisso di un hotel in centro a Foligno grazie a delle amicizie familiari in ambito politico. Nei cinque anni folignati prende il brevetto di pilota nel locale aeroclub al quale fa iscrivere anche l’amico di famiglia, il Procuratore Sisti, con il quale nel 1978 si rende protagonista di un atterraggio di fortuna sulla pista del piccolo aeroporto umbro in compagnia anche del missino Sergio Mariani, ai tempi ancora primo marito della futura prima moglie del collega di partito Gianfranco Fini. Paolo Bellini, che da Foligno si muoveva per l’Italia, ufficialmente nel suo periodo umbro si infilò in commercio, a metà tra il legale e la ricettazione, di mobili antichi. E fu proprio per questo motivo che nel 1981 fu arrestato dopo un controllo stradale che ne rilevò anche la sua vera identità a Pontassieve nella campagna toscana. Il mistero ancora avvolge gli anni trascorsi a Foligno da Bellini, appartenente ad Avanguardia Nazionale e soprannominato “Primula Nera”, ma qualcuno non esclude la sua frequentazione con il dottor Narducci conosciutissimo in paese anche per via della sua estrazione familiare ed esercitante la professione medica nella cittadina umbra. E soprattutto se, come risulterebbe dalle testimonianze già citate di Angelo Izzo il “massacratore del Circeo”, il gastroenterologo Narducci faceva parte della stessa congrega alla quale apparteneva proprio uno dei maggiori esponenti di Avanguardia Nazionale, Serafino Di Luia già noto alle nostre cronache e collega di eversione di Paolo Bellini.

Proprio nei pressi di Foligno, nella frazione di Colfiorito il passo montano al confine tra Umbria e Marche, era in funzione in quegli anni un poligono dell’esercito. Il vecchio sito militare era stato utilizzato nel corso del tempo come centro di detenzione per gli oppositori politici durante il fascismo e per prigionieri deportati dalla Jugoslavia durante la II° Guerra Mondiale. Terminato il conflitto tornò per circa cinquanta anni alla destinazione militare prima di esser trasformato nell’odierno polo museale.

Il poligono era in uso ufficialmente all’esercito italiano e preposto ad esercitazioni militari. Qualcuno paventa l’ipotesi che gli utilizzi furono anche di altro tenore, magari subordinati al già citato Centro Addestramento di Capo Marrargiu in ambito “Gladio”. Questa ipotesi in realtà resta pura supposizione ma considerato il fatto che ancora oggi molti, o quasi tutti, i centri operativi di Gladio sono rimasti segreti, è l’occasione per effettuare un breve inciso sulle sue basi in Italia. Gladio era formata da cinque unità di pronto intervento, la “Stella Alpina” in Friuli, la “Stella Marina” a Trieste, il “Rododendro” in Trentino Alto Adige, l’“Azalea” in Veneto e la “Ginestra” collocata tra i laghi lombardi. Diffusi erano i depositi di armi, a disposizione in ogni momento, nascosti (da qui il nome in codice NASCO) tra Lombardia, Piemonte, Veneto, Campania e Puglia ma sospetti si hanno anche su nascondigli collocati in Lazio, Basilicata, Sardegna, Sicilia e Toscana dove qualcuno indica come tale l’oramai più volte citato monolocale di via Sant’Agostino a Firenze ed il casolare pieno di esplosivi di Greve in Chianti in uso ai cosiddetti “Draghi Neri”. Il centro principale di Gladio, come visto in precedenza, era il CAG (Centro Addestramento Guastatori) denominato "Orione" in codice ed ubicato appunto in Sardegna a Capo Marrargiu. In seguito fu ingrandito col CAGP (Centro Addestramento Guastatori Paracadutisti) denominato in codice "Orione 2" e con il SAL (Sezione Aerei Leggeri), dipartimento che tra l’altro si lega all’aereo Argo 16 ed al dirottamento avvenuto a Fiumicino del 1973 di cui abbiamo già parlato.

Oltre al CAG 1 ve ne erano altri sparsi per il territorio nazionale. Il CAG 2 denominato in codice "Ariete" ad Udine e creato in contemporanea col CAG 1 e quindi con la nascita di Gladio. Il CAG 3 a Brescia denominato in codice "Libra" e creato tra gli anni 1985 /1986. Il CAG 4 a Valfenera (Asti) denominato in codice "Pleiadi" e creato tra gli anni 1986 /1988. Il CAG 9 a Trapani denominato in codice "Scorpione" anche questo creato tra gli anni 1986 /1988. Oltre a questi centri esistevano numerose altre divisioni periferiche, come la "sezione aeromarittima", molte delle quali rimaste ad oggi se non sconosciute di certo non meglio identificate.
A riprova di ciò, si nota, sono i numeri assegnati ad i vari centri. I CAG 5, 6, 7, 8 ufficialmente non esistono. Fu dichiarato fossero numeri lasciati liberi in attesa di organizzare dei nuovi centri nell'Italia Centro Sud e quindi poter così mantenere un certo ordine, dal 2 di Udine al 9 di Trapani. Anche la pausa temporale di costituzione dei vari CAG presenta un buco, dagli anni ’50 del primo al 1985 del CAG 3. Il 1990 segna la fine ufficiale di Gladio, di conseguenza, secondo le dichiarazioni ufficiali, i CAG con i numeri intermedi non vennero mai attivati. Le esercitazioni che l’apparato Gladio effettuava in quegli anni erano numerose ed andavano da pratiche di mobilitazione anti-invasione sovietica ad operazioni coperte, delle quali molte considerate azioni della cosiddetta “strategia della tensione”, propalate per esercitazioni. A queste ultime, secondo diverse ipotesi, apparterrebbero i numerosi crimini rivendicati con la sigla “Falange Armata”, quelli ad essa collegati e battezzati dai media “Banda della Uno bianca” ed addirittura c’è chi si spinge oltre arrivando a congetturare come operazioni correlate finanche i delitti del Mostro di Firenze.

Nell’ambito delle esercitazioni vere e proprie, invece, rientravano manovre codificate da schemi e manuali distribuiti anche tra alcuni reparti operativi dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, tra le quali le operazioni “Delfino”, “Pompeius”, “Monte Bianco”, svolte in diverse zone d’Italia dal Friuli – Venezia Giulia alla Sardegna. O come l’esercitazione “P” svoltasi nei pressi di Nuoro ma che qualcuno paragonò alla sarcasticamente definita “Operazione D’A.”, richiamante proprio la cittadina di Foligno.

Nel folignate, infatti, era ubicata la villa del senatore Giuseppe D’Alema, padre del più celebre Massimo, nella quale, a quanto pare, fu perpetrato un grosso furto alla fine del 1981. Secondo personaggi dell’epoca molto ben informati, più che di furto si sarebbe trattato in realtà di una non meglio specificata operazione coperta. Quale genere di operazione intendeva l’“osservatore politico” che accennò alla faccenda? Anche questa “Operazione D’A.” ricadeva nella sfera di Gladio? O forse più probabilmente attinente alla sfera della cosiddetta “Gladio rossa”, apparato di “vigilanza rivoluzionaria” in ambito del Partito Comunista Italiano? Questa Gladio parallela, venuta allo scoperto nel 1991, teneva i suoi addestramenti sull’Appennino Tosco-Romagnolo, proprio nelle zone dove oggi si addestrano i reparti speciali regolari dell’esercito italiano e teneva collegamenti radio clandestini con l’allora Cecoslovacchia tramite postazioni di antenne ubicate sul Passo della Futa con agenti di stanza a Firenze.

Di certo vi è, però, che sia il furto di Foligno che la manovra “P” di Gladio avvennero entrambe nello stesso periodo e che ai tempi, inizio anni ’80, solo personaggi molto dentro al sistema, appunto degli “osservatori politici”, conoscevano l’esistenza delle reti dei cosiddetti “gladiatori” sia della Nato che del PCI ed erano quindi i soli in grado di pubblicare criptici richiami. Di un eventuale collegamento tra le due Gladio ed il, pare, presunto furto nella villa di D’Alema a Foligno non se ne trova altra traccia se non appunto solamente in un accenno fatto dagli editoralisti eredi dell’“osservatore politico” Mino Pecorelli ucciso nel 1979.

Di sicuro Giuseppe D’Alema nel 1983 fu tra gli autori de “La resistibile ascesa della P2” volume scritto con Enrico Berlinguer, Stefano Rodotà e Pietro Ingrao, mentre con i proventi della vendita del casolare folignate del padre, “Baffetto” D’Alema acquistò poi la sua seconda barca a vela Ikarus II. 

DAL CASO MORO AI LEGIONARI DEL MOSTRO DI FIRENZE 

E’ noto che se a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 la famiglia D’Alema trascorreva le vacanze vicino Foligno, cittadina dove abbiamo visto soggiornava il latitante Bellini e dove lavorava il medico Narducci, in città a Roma abitava nel quartiere Portuense. Il giovane figlio Massimo nei pressi di Villa Bonelli, il padre Giuseppe a neanche cinque minuti di distanza in via Montalcini.

Via Montalcini, secondo alcuni filoni d’inchiesta, è considerata la “prigione del popolo” dove venne detenuto, una volta rapito il 16 marzo 1978, il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro nonché, secondo alcune voci da noi già riportate, presunto latifondista in territorio etrusco. 

Giuseppe e Massimo D’Alema, ai tempi rispettivamente Presidente della Commissione Finanze della Camera dei Deputati e Segretario nazionale della Federazione dei Giovani Comunisti, lavoravano entrambi in palazzi vicini, di conseguenza ogni mattina Massimo attendeva l’auto guidata dal padre all’incrocio di via Montalcini per poi recarsi insieme nei rispettivi uffici.

In via Montalcini risiedevano anche un paio di esponenti di primo piano della Banda della Magliana e pare che proprio nelle settimane del sequestro un appartamento ubicato sempre in quella strada fece da base per un drappello di militari che avevano l’ordine di sorvegliare la zona.

Via Montalcini ha varie similitudini con via Gradoli ed anche se abbiamo già visto che la Direzione Strategica del sequestro Moro pare fosse installata in realtà a Firenze, nella strada romana era comunque collocato un covo delle Brigate Rosse ed un gran numero di appartamenti risultava appartenere a società fittizie dei servizi segreti italiani e non solo. La maggior parte di questi immobili erano gestiti da Domenico Catracchia, in queste settimane indagato anche lui per la strage di Bologna insieme a Paolo Bellini.

In via Fani, il giorno del rapimento di Aldo Moro e dello sterminio della sua scorta, erano presenti numerosi personaggi legati ai servizi segreti, ad ambienti internazionali e sembra anche alla ‘ndrangheta. Una di queste presenze fu indicata in un ex volontario della Legione Straniera: Giustino De Vuono. A lui sono addebitati 49 colpi andati a segno dei 91 sparati sugli uomini della scorta ed alla sua abilità addestrata in ambienti di guerra sono attribuiti il tipo di sparo “a raggiera” ed il fatto che in quella pioggia di pallottole il presidente democristiano ne uscì illeso. La presenza di De Vuono sulla scena dell’agguato ma anche in seguito su quella del delitto vero e proprio di Moro, è balzata agli onori delle cronache solo negli ultimi anni ma, tramite una classica azione mediatica, lasciata cadere nel campo delle ipotesi non verificate e delle voci smentite.  Di certo il suo coinvolgimento era stato accertato o comunque ritenuto altamente presumibile già nell’immediatezza dell’azione criminosa tanto che la segnalazione a suo carico partì direttamente nel 1978. E nel 1979 nella sua natia Calabria sembra forzò insieme a dei fiancheggiatori un posto di blocco al quale seguì una sparatoria nella quale rimase ferito un carabiniere. Secondo altre fonti da alcuni ritenute insabbiatrici, però, De Vuono in quegli anni si muoveva da latitante per reati precedenti tra Brasile e Paraguay e per questo motivo viene screditata la sua presenza a Roma in quei mesi di inizio 1978. Ma un forte alone di mistero copre questo personaggio che risulta poi morto in carcere ma senza che della sua sepoltura ne resti traccia. De Vuono era un killer altamente addestrato fin dai tempi in cui, prima di impelagarsi in varie questioni giudiziarie italiane, fu un combattente della Legione Straniera.

E nella Legione Straniera spagnola trascorse il resto della sua vita da latitante Andrea Ghira uno dei “massacratori del Circeo” nonchè sodale della presunta confraternita esoterica di cui abbiamo già parlato ed alla quale sarebbe appartenuto anche il medico perugino Narducci ed i cui membri sarebbero tutti più o meno coinvolti negli omicidi del Mostro di Firenze.

Ma come visto era stato un legionario anche Giampiero Vigilanti, anche lui sospettato essere il Mostro di Firenze ed al quale nel corso degli anni furono ritrovati in suo possesso una pistola del tutto compatibile con quegli omicidi, delle pallottole della stessa serie utilizzate ma anche dei ritagli di giornali inerenti alcuni di quei delitti. Qualcuno non esclude che il legionario di Prato collaborò, senza esser specificato a quale titolo, con il dottor Narducci ed i suoi sodali: nobiluomini, confratelli, guardoni vari.

Le teorie si intrecciano.

Vigilanti, come legionario, combattè in Indocina proprio dove Joe “Giuseppe” Bevilacqua, un italo americano che dagli anni ‘60 si stabilì in Italia, venne insignito della Croce d’Argento per meriti militari da parte delle istituzioni degli Stati Uniti.

Effettivo dell’esercito statunitense prima e dell’amministrazione USA in seguito, Bevilacqua trascorse un primo periodo in Italia assegnato alla base americana di Camp Darby a Tirrenia tra Pisa e Livorno. In seguito divenne sovrintendente del Cimitero Monumentale Americano sito a Falciani, nei pressi di San Casciano Val di Pesa. Nel corso della sua lunga carriera al servizio del governo statunitense fu operativo del CID, la Criminal Investigation Division, un reparto di polizia militare e prima di esser trasferito in Italia, durante la sua missione in Vietnam, era inquadrato nel dipartimento operativo che si occupava delle Psyops e del progetto MKUltra, le cosiddette “guerre psicologiche”, il tutto condito dall’aver ricevuto addestramento militare da unità speciale. Anche Bevilacqua è un personaggio avvolto dalle nubi del mistero. Dopo una comparsata da testimone nella vicenda del Mostro di Firenze dove la sua figura restò marginale, negli ultimi anni spunta prepotentemente nelle cronache addirittura come uno dei principali indiziati degli omicidi fiorentini in seguito ad una sua confessione relegata, però, ad ipotesi tra le tante in voga. Senza entrare nel dettaglio delle cose che portano i sostenitori di questa tesi a confermare la centralità del personaggio nella vicenda, segnaliamo il fatto che oltre ad essersi accollato i delitti del Mostro, ha attirato l’attenzione su di sé anche per i delitti seriali che terrorizzarono gli Stati Uniti fino agli anni ’60, gli omicidi conosciuti come quelli di Zodiac. Assassinii sui quali non si è mai fatta luce e che, è stato notato, terminarono quando Bevilacqua si trasferì definitivamente in Italia. Secondo una testimonianza messa a verbale ma poi non vagliata dagli inquirenti “Joe l’Americano” fu coinvolto anche nella vicenda della bomba di piazza Fontana a Milano del 1969 e, secondo alcuni seguaci di una specifica teoria riguardo l’italo-americano, pare fu anche visto alla stazione di Bologna nel 1980. Bevilacqua dopo Firenze fu trasferito al Cimitero americano di Nettuno dove, secondo la stessa teoria, da appassionato di baseball si legò come dirigente alla squadra locale che accompagnava spesso anche in trasferta. Proprio quel 2 di agosto del 1980 il team di baseball romano si trovava a Bologna per un match di campionato ed alloggiò in un hotel di fronte la stazione. Gli stessi giocatori raccontarono di come scamparono alla strage dopo aver ricevuto uno strano avviso, ricevuto poco prima della tragedia, che li consigliava di allontanarsi dalla piazza della ferrovia durante la loro passeggiata post colazione. Chi sposa questa teoria collega il compimento di altri fatti criminosi ad alcune partite di campionato giocate in trasferta da parte del Nettuno baseball. Ed i teorici di Bevilacqua segnalano anche come tra Nettuno ed Anzio ci furono dei delitti di prostitute nei primi anni duemila rimasti poi insoluti. Di certo proprio l’ultimo duplice omicidio del Mostro di Firenze del 1985 avvenne a Scopeti, località attigua a Falciani dove il legionario statunitense viveva e lavorava come direttore del Cimitero Militare americano. Scendendo più nel dettaglio, la piazzola dove furono uccisi i due ragazzi francesi è separata dal parco del memoriale USA giusto dalla carreggiata una strada provinciale. L’area del cimitero è, a tutti gli effetti, territorio sotto giurisdizione statunitense e per questo non passibile di perquisizioni e comunque luogo considerato “insospettabile”.

Come d’altronde era insospettabile ed impenetrabile il grande Consolato Generale degli Stati Uniti in Lungarno Vespucci a Firenze. Giusto a trecento metri di distanza dall’appartamento dove viveva il già noto criminologo Senzani ed a cinquecento dall’oramai celebre Comando Provinciale dei Carabinieri di Borgo Ognissanti. Il Consolato americano di Firenze era ovviamente frequentato da Bevilacqua in qualità di dipendente dell’amministrazione USA ma anche da Ronald Stark emanazione della CIA e di numerose azioni coperte della stessa compiute in Italia nonché operativo in missioni in zone di guerra. Stark per un breve periodo sul finire degli anni ’70 fu condannato all’obbligo di dimora proprio nella città di Firenze dove teneva incontri regolari con il suo viceconsole. Finchè finse problemi di salute e fu ricoverato all’ospedale cittadino di Careggi dal quale fuggì, facendo perdere le sue tracce definitivamente. Pochi giorni dopo la sua scomparsa, in due distinte cabine telefoniche della città, furono fatti ritrovare dei documenti che presumibilmente lo collegavano al rapimento di Aldo Moro.

In quei primi anni ’80 un altro legionario, in Indocina collega di Vigilanti e contemporaneo alla presenza di Bevilacqua, pare trascorse un periodo della sua latitanza nei dintorni di Firenze. Albert Spaggiari, l’italo francese autore della “rapina del secolo” al caveau della Societè Generale di Nizza avvenuta passando dalle fogne e che, secondo delle supposizioni, annoverò tra i suoi complici anche esponenti di rilievo del gruppo eversivo di Avanguardia Nazionale. Raggruppamento al quale appartenevano, come già visto, Serafino Di Luia e Paolo Bellini e con il quale collaborava segretamente l’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni guidato da Federico Umberto D’Amato, considerato deus ex machina di numerose vicende della strategia della tensione, strage di Bologna in primis.

Spaggiari dal 1976 si rese latitante dalla Francia e girovagò come gli altri suoi colleghi ex legionari in Sud America tra Brasile, Argentina, Bolivia, Paraguay e Cile. Ma transitò anche dall’Italia e dalla Toscana prima di morire nel 1989 in provincia di Belluno, a Cesiomaggiore, dove si era trasferito segretamente.

Qualcuno suppone la presenza, mai sfiorata dalle indagini, di Spaggiari sui luoghi dei delitti del Mostro di Firenze considerate le sue frequentazioni con gli esponenti di Avanguardia Nazionale e la conoscenza con Vigilanti.

I LEGIONARI A BOLOGNA

Il 2 agosto 1980, il giorno che segnò drammaticamente la città di Bologna e l’Italia intera, l’area della centrale stazione ferroviaria cittadina era affollata di personaggi già noti alle nostre cronache quali il Capo Centro del Sismi di Firenze Federico Mannucci Benincasa, il perito di esplosivi Ignazio Spampinato, la “primula nera” Paolo Bellini, presumibilmente l’agente statunitense Joe Bevilacqua. Altre personalità risultano comunque presenti nelle retrovie come l’immobiliarista dei servizi segreti Domenico Catracchia, il direttore dell’Ufficio Affari Riservati Federico Umberto D’Amato, il procuratore della repubblica Ugo Sisti in stretti rapporti proprio con Paolo Bellini e con il Sismi del Colonnello Mannucci. Il servizio segreto militare in quel periodo era diretto dal Generale Giuseppe Santovito il cui nome era nella lista degli appartenenti alla Loggia P2 ed il quale trascorse proprio a Firenze l’ultimo periodo della sua vita morendovi nel 1984 dopo esser transitato dall’ospedale di Careggi.

Ma quel giorno di agosto Bologna pullulava anche di strane figure straniere.

Se all’ex Jolly hotel ubicato quasi di fronte la stazione alloggiava la squadra del Nettuno baseball accompagnata forse dal militare Bevilacqua, a distanza di sicurezza, nella stanza 21 dell’hotel Centrale, soggiornava il tedesco Thomas Kram appartenente alle Cellule Rivoluzionarie tedesche e per questo ricercato in Germania. Le Cellule Rivoluzionarie operavano come una sorta di divisione del cosiddetto “Gruppo Carlos” o “Separat” guidato da Carlos Sanchez “lo Sciacallo” protagonista indiscusso del terrorismo internazionale di quegli anni. Carlos si incontrava con Johannes Weinrich dettoSteve”, capo delle Cellule Rivoluzionarie e responsabile dell’apparato militare clandestino di Separat, a Berlino Est. Ad alcune di queste riunioni partecipavano anche Kram e sua moglie Christa-Margot Fröhlich detta “Heidi”, come proprio a quella avvenuta nei giorni seguenti la strage. Alcune testimonianze segnalano a Bologna anche la presenza di Heidi ma, a differenza del marito, la attestano all’ex hotel Jolly, lo stesso dove era sistemato il Nettuno baseball. Fröhlich fu in seguito per due volte, nel 1982 e nel 1995, arrestata in Italia all’aeroporto di Fiumicino prima ed a Roma dopo per terrorismo internazionale.

  • I corpi sconosciuti di Erlangen

Il marito Kram aveva già soggiornato a febbraio del 1980 a Bologna. In quella occasione alloggiò in una stanza dell’ex hotel Lembo insieme a due italiani, Vincenzo Di Costanzo ed Eufemia Amato, personaggi praticamente spariti poi dai radar della storia. Qualcuno addirittura azzarda trattarsi dei due corpi carbonizzati, presumibilmente italiani, ritrovati il 1 maggio 1983 in un’area di sosta della tratta autostradale tedesca A3 tra Erlangen e Norimberga le cui identità risultano tutt’oggi ancora sconosciute. Magari i due furono scaricati da un automezzo, colpiti con un colpo contundente e dati alle fiamme sulla strada del ritorno dopo una delle note riunioni del gruppo Separat. Meeting che si tenevano nell’albergo dove erano ammessi solo cittadini stranieri e per questo sorvegliatissimo dalla Stasi che era al corrente di ogni mossa, il Palasthotel di Berlino Est.

Non esiste niente che attesti la scomparsa o il decesso in quegli anni di Amato e Di Costanzo ma solo il fatto che dopo esser stati accertati in hotel a Bologna con Kram e Bellini e dopo alcuni dispacci tra inquirenti relativi alla loro identità non sono stati indagati e sono tornati nel più completo oblio ed anonimato. Per questo motivo, magari impropriamente, qualcuno paventa la “tesi tedesca” a loro carico.

Sempre dall’ex hotel Lembo di Bologna, ma in una stanza diversa, quella notte di febbraio transitò anche Paolo Bellini, come visto latitante ed in quel periodo domiciliato sotto falso nome a Foligno, il quale nel corso di quel 1980 si recò più volte nella città delle Due Torri facendo la spola tra un altro paio di hotel del centro città.

Kram e Bellini risultano oggi indagati per i fatti di Bologna. Kram ha sostenuto che in realtà fosse di passaggio dalla città felsinea in quanto le sue mete finali fossero Firenze e Perugia, città dove aveva vissuto per un periodo nel 1979.

Ma altre presenze straniere figurano nei dintorni della stazione centrale di Bologna e richiamano il così denominato “Secret Team”, struttura poco famosa dell’intelligence degli Stati Uniti. Il gruppo era guidato da Ted Schackley coadiuvato da Edwin Wilson e Frank Terpil, tutti e tre esperti di strategia e di teatri guerra. Al Secret Team afferivano gruppi di mercenari ed ex legionari come quello che si suppone si trovasse anche esso a Bologna capeggiato dal francese Bob Denard, uno dei più famigerati soldati di ventura con numerose esperienze in Africa, Medio Oriente ed Indocina. Area geografica quest’ultima che vide protagonisti più o meno in contemporanea negli stessi anni anche Giustino De Vuono, Giampiero Vigilanti ed Albert Spaggiari. Come d’altronde i loro colleghi statunitensi Ronald Stark e Joe Bevilacqua sui quali vige il sospetto di presenza in piazza delle Medaglie D’Oro il 2 di agosto. Tutti questi “legionari”, come visto, sono entrati più volte nelle varie vicende che stiamo trattando. Dal caso Moro al Mostro di Firenze.

LUCA PINGITORE

Segui gli aggiornamenti del ilquotidianoditalia.it la pubblicazione delle varie parti dell'articolo sulla nostra pagina Facebook:

https://www.facebook.com/Il-Quotidiano-dItalia-102594634838302/

oppure iscriviti al nostro gruppo:

https://www.facebook.com/groups/473344367377581/members/things_in_common