Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 2° PARTE

Fatti ed intrecci poco noti che dall'Italia centrale segnarono la storia dell'intera penisola

Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 2° PARTE

La storia d’Italia dal dopoguerra in poi si è dipanata in un groviglio di vicende dai contorni nebulosi e mai chiariti. Esiste però un filo teso lungo tutti questi anni che sorregge la matassa di intrecci inconfessabili di poteri, criminalità ed apparati nazionali ed esteri. In questa lunga disamina non sono raccontati gli avvenimenti, sviscerati in migliaia di pubblicazioni e liberi di essere studiati per conto proprio, che hanno caratterizzato la nostra storia recente. La seguente indagine si pone l’obiettivo di divulgare fatti ed intrecci poco noti, magari qualcuno anche inedito, degli anni caratterizzati dalla cosiddetta “strategia della tensione”. L’analisi muove dalla zona geografica del Centro Italia, la regione anticamente conosciuta come Etruria, dove numerose vicende hanno avuto luogo o base operativa ed hanno poi segnato il resto della penisola oltrepassando i confini nazionali in ragione del ruolo strategico che l’Italia ha sempre ricoperto. Un discorso che si dispiega tramite collegamenti e curiosità che propone una visione d’insieme sulle intricate vicende spesso divulgate come singole e separate ma in realtà tutte correlate l’una con l’altra. Solo in questo modo si potrà comprendere la reale portata di quello che è avvenuto e che in realtà non è mai terminato. Molto si è solo trasformato e rigenerato.

Il report è pubblicato a puntate così suddiviso:

1° Parte:

  • L’anonima sarda
  • I draghi neri, l’italicus e le morti indotte
  • Fiumicino ed i dirottamenti

2° Parte:

  • I latifondi di nobili e politici in Etruria ed il geometra dell’anello
  • L’ufficiale del sismi e Firenze capoluogo della “strategia della tensione”
  • Il mostro di Firenze

3° Parte:

  • Foligno, gladio ed i destini incrociati
  • Dal caso moro ai legionari del mostro di Firenze
  • I legionari a Bologna
  • I corpi sconosciuti di Erlangen

4° Parte:

  • I dettagli familiari della loggia p2
  • Il magistrato sempre presente

5° Parte:

  • I porti di Livorno e Talamone
  • I politici dell’autostrada ed il caso moro
  • Petrolio e giornali
  • I rifiuti tossici, le bombe su Belgrado, gli aeroporti segreti ed i dossier dei servizi
  • (bonus track) Farneticazioni cinematografiche

I LATIFONDI DI NOBILI E POLITICI IN ETRURIA ED IL GEOMETRA DELL’ANELLO

Nel dopoguerra la Democrazia Cristiana teneva sotto suo stretto controllo la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari. Questo comportò una commistione di favori, soldi e voti che la inglobarono poi nel 1991 nel vortice di uno scandalo. La Federconsorzi, tra l’altro, non era estranea al versamento di sostanziosi contributi per le campagne elettorali democristiane ed a trattare tutto ciò, a quanto pare, toccava spesso all’esponente di spicco del partito dello scudocrociato: Aldo Moro. Le malelingue fecero correre la voce che lo stesso Moro, come conseguenza di questi rapporti, ricevette in omaggio trattori ed attrezzature varie per la vasta tenuta agricola gestita in sua vece dal suo segretario, Sereno Freato, nel mezzo della Val d’Arbia, in località La Piana nei dintorni di Buonconvento. Intorno alla storica tenuta appartenuta in precedenza ad antiche famiglie si sviluppò un gioco societario che portava, secondo le notizie dell’epoca, ad un intreccio con un traffico clandestino di prodotti petroliferi e conti svizzeri nel quale lo stesso Freato fu coinvolto. Da molti considerato prestanome del vero proprietario, il Presidente del Consiglio assassinato nel 1978, Freato divenne ufficialmente proprietario di vasti possedimenti tra il Chianti, la Val d’Arbia e la Val d’Orcia che, insieme alla già citata Piana, andarono a creare un vero e proprio latifondo nel centro dell’Italia. Riconducibili a lui, secondo alcuni, erano anche delle pertinenze campestri che si trovavano addirittura nella zona della diga Enel sul lago di Corbara nelle adiacenze di Orvieto alla periferia della parte umbra della Valdichiana. Con società che si passarono il testimone patrimoniale di terreni ed aziende agricole, operazioni finanziarie sull’asse Italia – Liechtenstein - Svizzera, favori amministrativi di sindaci locali, finanziamenti pubblici e contributi a fondo perduto, la gestione del latifondo andò avanti almeno fino al 1981. Ben dopo l’omicidio di Aldo Moro che qualcuno, con intento forse depistatore, provò a motivare adducendo cause legate a questa vicenda ed a quella ad essa collegata in ambito petrolifero. Un impero finanziario sovvenzionato dal petrolio è l’accusa che venne mossa.

Nella Val di Pesa, non così lontano dai terreni in questione, alcune nobili ed antiche famiglie di genesi sefardita si erano stabilite proprio nel corso degli anni ’60. Nei dintorni di San Casciano Val di Pesa avevano allacciato rapporti di amicizia e di convivialità con un’altra famiglia di altissimo lignaggio nobiliare la quale annoverava tra i propri antenati Santi, Papi e politici ed anche un membro della Costituente. Anche i loro possedimenti, come quelli “democristiani”, si dipanavano tra Toscana ed Umbria avendo base padronale nei dintorni di San Casciano. Uno dei loro rampolli, don Roberto Corsini, mentre si trovava in una delle proprietà di famiglia a San Piero a Sieve nel Mugello, viene misteriosamente assassinato nel 1984. Nessun testimone ma un colpevole per la Giustizia, il figlio del proprio fattore scambiato dal Conte per un bracconiere.  Erano gli anni e le zone degli omicidi del Mostro di Firenze che ebbero il loro epicentro proprio nella zona di San Casciano di Val di Pesa dove le voci di particolari festini nelle ville nobiliari, ma non solo in quelle, resero la vicenda più intricata di come sembrava all’apparenza.   

La campagna toscana, per la sua bellezza, ha sempre attratto appassionati latifondisti e proprietari terrieri anche da fuori regione. Uno di questi fu il geometra nonché ritenuto da molti Colonnello del Sismi Adalberto Titta. Titta era un ex aviere della Repubblica Sociale Italiana e, si scopri negli anni ’90, uomo di spicco del gruppo segreto dell’“Anello”, presunto servizio segreto che si sarebbe rapportato direttamente a Giulio Andreotti.

In pratica, l’ex repubblichino era colui che si occupava materialmente dei “lavori sporchi patrocinati dalle istituzioni” con la mansione di testa di legno, dove non potevano apparire determinate personalità o dipartimenti di Stato a titolo personale od ufficiale, la mano di Titta operava ed offuscava in loro vece.

Titta, implicato in numerose vicende della “strategia delle tensione” che esulano da questo articolo, ufficialmente aveva una sua ditta di costruzioni operante nel milanese ma in realtà trafficava dentro

l’“Anello” e nei momenti liberi amava rilassarsi in compagnia della moglie nella sua tenuta, trasformata in azienda agricola, dalle parti di Casole d’Elsa, tra Volterra e Poggibonsi. E proprio nella zona di Volterra, come già raccontato, vivevano numerose famiglie di sardi trapiantati i quali gestivano affari poco legali. Alcuni di questi, per motivi legati alle terre, sembra che infastidissero pesantemente il geometra Titta, il quale ad un certo punto si rivolse al Capocentro del Sismi a Firenze: Federigo Mannucci Benincasa, personaggio già comparso in occasione della vicenda dell’Italicus. Seconda la tardiva ed oramai non più appurabile testimonianza di quest’ultimo agli inquirenti, la sera prima del decesso di Titta avvenuta nel 1981, i due Ufficiali si sarebbero incontrati nell’albergo nel quale il geometra era ospite con la moglie per confrontarsi proprio sulla “vicenda dei sardi” che lo vessavano. Salvo poi rilevarsi che Titta quella sera fosse da solo in quanto la moglie si trovava in vacanza in Egitto con il loro figlio. E risulta comunque strano che il geometra milanese, facendo tappa da Milano a Roma, si sia fermato in un hotel di Poggibonsi quando dormire nella sua casa di campagna gli avrebbe comportato una deviazione di poco meno di trenta minuti dalla strada principale. Ma tutto è possibile. Come è possibile magari che l’incontro non sia avvenuto sul raccordo Firenze – Siena in Val d’Elsa ma sulla parallela e più pratica autostrada, per chi si muove tra Milano e Roma, durante una pausa di viaggio del geometra milanese dalle parti del casello di Bettolle.  Dove, in un hotel-ristorante della zona, il Colonnello Benincasa era solito tenere incontri riservati con persone che transitavano per il centro Italia. Di certo Titta, qualsiasi sia stato il luogo d’incontro con il Capocentro del Sismi, nei dintorni di Orvieto avvertì un infarto alla guida della sua nuova Audi di servizio (del Sismi) e dal ricovero ospedaliero non ne uscì vivo.

Per una tragica coincidenza, quasi da “teoria del contrappasso” di dantesca tradizione, proprio l’esperto di incidenti stradali simulati perpetrati al servizio dell’“Anello”, muore mentre si trova in auto a causa di un malore. Magari procurato tramite una delle tecniche, accennate in precedenza, in uso ad alcuni dipartimenti di servizi segreti. In fondo basta una dose giusta di tallio, sostanza insapore e ad effetto lento che non lascia tracce nell’organismo servito magari come “piatto speciale”, per far sì che la morte venga catalogata come naturale a causa di un arresto cardiaco, di una trombosi od un infarto. Come nel caso del Colonnello Titta, magari.

L’UFFICIALE DEL SISMI E FIRENZE CAPOLUOGO DELLA “STRATEGIA DELLA TENSIONE”

A poca distanza dai terreni delle società di Freato in Val d’Arbia ed altrettanto vicino al casello autostradale di Bettolle sorge la proprietà terriera che circonda l’antico castello di Calcione. Siamo nei pressi di Lucignano nel mezzo della Valdichiana a circa mezz’ora dalla celebre Villa Wanda, la dimora del Maestro Venerabile della Loggia P2 Licio Gelli.

La storica famiglia proprietaria della tenuta di Calcione, i Marchesi Pianetti Lotteringhi della Stufa, vivevano a Firenze, nel quartiere d’Oltrarno in pieno centro storico. Il capofamiglia dell’epoca, Alessandro, era in buoni rapporti con il solito colonnello Federigo Mannucci Benincasa, Capo del Centro Sismi di Firenze negli anni dal 1971 al 1991, tanto da mettergli a disposizione un monolocale con soppalco proprio nel palazzo nel quale viveva la famiglia gentilizia.

Di questo piede-à-terre di via Sant’Agostino un uso al Capocentro non se ne saprà niente fino al 1993 quando sul soppalco del monolocale, il figlio del defunto Alessandro Pianetti Lotteringhi della Stufa, il Marchese Bernardo, trova armi, munizioni ed esplosivo avvolti in fogli di vecchi giornali quotidiani.

Fucili, carabine, pistole, proiettili, dosi di esplosivo e finanche una “tunica con scritte in caratteri arabi” facevano parte dell’arsenale. C’erano anche, a quanto pare, dei caricatori per il mitra ritrovato nel 1981 in un borsone sul treno Taranto – Milano all’altezza di Ancona. Mitra che risultò poi uno di quelli appartenenti allo stock di armi conservato nel deposito dei sotterranei del Ministero della Sanità in uso al gruppo eversivo dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Il ritrovamento del borsone con il mitra sul treno, che alcuni propendono essere il famoso “rapido Taranto – Ancona” cantato da Rino Gaetano ma nel 1976, fu considerato dagli inquirenti un tentativo di depistaggio della vicenda della strage di Bologna attuato proprio dal Colonnello Mannucci. L’Ufficiale del Sismi, negli anni, finì a processo per eclatanti azioni di depistaggio inerenti sia la vicenda del DC-9 caduto al largo di Ustica, sia anche per quella della stazione di Bologna appunto. Eventi accaduti a circa un mese di distanza uno dall’altro.

Il Colonnello a Bologna, nonostante la città emiliana fosse fuori dalla sua giurisdizione, quel giorno c’era. Ed il 2 agosto 1980 ad accompagnarlo sul luogo dell’esplosione c’era con lui il Colonnello d’Artiglieria Ignazio Spampinato. Colui che lo stesso giorno ricevette dalla Procura bolognese l’incarico come perito atto a studiare la composizione dell’esplosivo utilizzato. Una copia del suo rapporto, prima che l’originale fosse consegnato ai magistrati indaganti sulla strage, la consegnò in anteprima al Capo Centro Sismi di Firenze e per questo motivo venne poi incriminato anche egli stesso. L’esperto artigliere oltre che di esplosivi si intendeva anche di balistica. In questa qualità si occupò, nell’ottobre del 1981, del terzo omicidio (il quarto per molti) del cosiddetto Mostro di Firenze avvenuto alle Bartoline di Calenzano, località tra Firenze e Prato, ed in seguito gli fu assegnata anche la perizia sul proiettile ritrovato (per alcuni fatto ritrovare) nell’orto di Pietro Pacciani, leggendario “Mostro di Firenze” per l’opinione collettiva, durante il processo a suo carico nell’aprile 1992. Proiettili compatibili con quelli utilizzati nella vicenda del Mostro, tra l’altro, erano presenti tra le varie munizioni ritrovate nel piccolo appartamento di via Sant’Agostino.

Ma c’è di più. Nel 1982, quando venne creato il collegamento tra i primi delitti del Mostro e quel lontano duplice omicidio avvenuto nelle campagne di Signa nel 1968, vicenda già citata come accaduta in ambiente sardo quindi presumibilmente non rientrante nella lista dei delitti del Mostro e per la quale si paventa una potente azione di depistaggio, fu proprio il perito Spampinato ad effettuare la perizia sui bossoli repertati.

Come già ricordato, il presunto depistaggio partì dalla Caserma dei Carabinieri di Firenze di Borgo Ognissanti comandata dal Colonnello Olinto Dell’Amico. E la perizia fu affidata ad Ignazio Spampinato, collaboratore, come abbiamo visto, del Capo Centro Sismi Federigo Benincasa collega esso stesso del Comandante Dell’Amico.

A poco meno di centocinquanta metri dalla caserma di Borgo Ognissanti a Firenze, dimorò il criminologo e docente universitario Giovanni Senzani insieme alla sua famiglia. Senzani era anche consulente del Ministero di Grazia e Giustizia ma nello stesso tempo era un effettivo delle Brigate Rosse e tra le varie cose considerato una delle menti strategiche e l’anello di congiunzione tra la manovalanza e i livelli segreti superiori del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro. Il criminologo era così inserito nell’apparato che si muoveva tra eversione ed istituzioni tanto da essere direttamente in contatto, secondo numerose ipotesi, con la famigerata Hyperion di Parigi, scuola di lingue di facciata ma in realtà considerata una centrale di coordinamento dello spionaggio internazionale, “collega” dell’Aginterpress di Lisbona, ufficialmente agenzia di stampa ma di fatto ufficio strategico dell’eversione internazionale.

Durante i quasi due mesi di prigionia del Presidente Moro, già entrato nelle nostre vicende come presunto latifondista occulto nelle campagne toscane, il professor Senzani pare tenesse le fila dell’operazione. Proprio a Firenze, in un appartamento situato per pura coincidenza in una strada intitolata all’allora Unione Sovietica, aveva la sede il Comitato Rivoluzionario Toscano dove in quei giorni del sequestro Moro, sembra, si riunisse il Comitato Direttivo delle Brigate Rosse. Senzani, Mario Moretti considerato il capo delle BR, Barbera Balzerani e vari altri personaggi di primo piano dell’organizzazione stabilivano da Firenze l’andamento della vicenda. Per qualcuno, invece, proprio in quell’appartamento ricevevano istruzioni su come gestirla. Magari tramite le indicazioni dettate da Giovanni Senzani il quale pare si incontrasse spesso e segretamente con il Colonnello Mannucci Benincasa. Luogo preposto a questi incontri confidenziali era, secondo alcune indiscrezioni, proprio il monolocale di via Sant’Agostino, nel cui soppalco fu poi trovata una santabarbara degna di un Nasco, i nascondigli di armi utilizzati da Gladio.

Il Capo Centro del Sismi era solito diversificare i luoghi dei suoi incontri in base ai suoi interlocutori. Abbiamo infatti già visto come spesso si recava in un locale dal nome geometrico nella zona di Bettolle, strategico punto di passaggio dell’autostrada e non troppo distante da Arezzo e da Perugia. Ma anche a Firenze, oltre il segreto miniappartamento non lontano dalla caserma di Borgo Ognissanti, aveva scelto una perfetta ubicazione per un suo ufficio. Nelle adiacenze della centrale stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, infatti, riceveva confidenti e colleghi che giungevano in treno in città, conferivano con lui e potevano così poi ripartire velocemente per il luogo da cui erano giunti o proseguire per altra località. Ottima location dalle cui finestre erano ben in vista i binari della stazione dove presumibilmente le valigie della morte vennero caricate sui treni Italicus nel 1974, “Conca d’Oro” nel 1978, “Rapido 904” nel 1984.

Anche sul soppalco di via Sant’Agostino fu ritrovato materiale probabilmente attinente con queste ed altre azioni di “terrore sui treni” alle quali abbiamo accennato in precedenza e sulle quali ora aggiungiamo il fatto che i due maggiori attuatori di quegli attentati, Mario Tuti da Empoli ed Augusto Cauchi da Cortona, erano soliti incontrare Mannucci Benincasa a Firenze o a Bettolle. Tuti e Cauchi erano entrambi in rapporti con Licio Gelli e la struttura della P2.

La stessa tipologia di esplosivo utilizzato per far scoppiare il Rapido 904 fu impiegato per due misteriose esplosioni, ad oggi rimaste impunite e soprattutto consegnate all’oblio, avvenute a Firenze. Nel 1985 fu fatto esplodere un ufficio postale in via Carlo D’Angiò mentre nel 1987 fu fatto detonare un condominio in via Toscanini. Entrambe le esplosioni per coincidenze fortuite non causarono vittime.  

L’ufficio del Sismi di Santa Maria Novella fu probabilmente il luogo dal quale partirono telefonate ed azioni di depistaggio sugli avvenimenti del DC9 dell’Itavia e della strage di Bologna. Azioni per le quali il Colonnello Mannucci fu incriminato insieme ad un suo collega anche esso ufficiale dei Servizi ma del Sios dell’aeronautica, Umberto Nobili. Alla stregua della celebre scena del film “Fantozzi contro tutti”, uscito nelle sale cinematografiche pochi mesi dopo i fatti stragistici dell’estate del 1980, nella quale Filini e Fantozzi fanno una telefonata al loro MegaDirettore Visconte Cobram facendo “l’accento svedese” per restare anonimi ma venendo prontamente riconosciuti, così i due ufficiali militari vengono indicati e come autori di una telefonata depistante partita dal Centro Sismi di Firenze.

Questo nonostante “Manfredi”, nome di copertura utilizzato dal Colonnello Benincasa in sue diverse azioni, presumibilmente nel suo ufficio Sismi disponeva di numerosi ritrovati della tecnologia, gli stessi sviluppati dal già noto IRCS di Torino, istituto consulente di vari apparati dei Servizi e legato a Flaminio Piccoli che nel 1983 entrò in una inchiesta per traffico di armi nucleari. Programmi come il Progetto Voice meglio detto “cambia voce telefonico”, il Progetto Sirio un sistema di alta tecnologia nel campo delle telecomunicazioni, il Progetto Galileo o “orecchio bionico” per spiare le comunicazioni via cavo o via fibra ottica. Il Colonnello Nobili secondo alcuni fu solo una pedina utilizzata dal Colonnello Mannucci a favore di alcune azioni del Sismi dietro la copertura di stretti rapporti familiari. Legami dati anche dal fatto che i due non erano lontani di abitazione vivendo entrambe le famiglie nella zona di Firenze sud, a breve distanza tra l’altro dalla sede del Comitato Rivoluzionario Toscano. Dove si riuniva, durante il sequestro Moro, il “cervello politico delle Brigate Rosse”.

IL MOSTRO DI FIRENZE

Nei dintorni di Firenze, in zone di territorio comprese tra la Val di Pesa, la Valle del Greve e più a nord fino al Mugello, si compiono nel 1974 e poi tra il 1981 ed il 1985, i cosiddetti omicidi del Mostro di Firenze.

Il presunto Mostro colpisce giovani coppie appartate ed in un solo caso uccide una coppia di ragazzi dello stesso sesso. Alla lista dei delitti, la vulgata popolare sostenuta come verità acclarata, assegna anche quello avvenuto nel 1968 a Signa già incrociato più volte nel corso della nostra analisi. Fatto di sangue questo, ripetiamo, probabilmente utilizzato come principale azione di depistaggio sulla vicenda. La conseguenza fu quella di aver creato confusione e diviso le indagini in varie diramazioni facendo incrociare ed intersecare tra di loro personaggi e teorie investigative.

Come detto, il collegamento tra il duplice delitto del 1968, presumibilmente di esclusivo ambito sardo e quelli avvenuti negli anni successivi, uscì fuori dalla caserma dei Carabinieri di Borgo Ognissanti comandata dal Colonnello Olinto Dell’Amico. Il militare, con ruoli diversi nel corso degli anni e della sua carriera, entrò nella vicenda del Mostro seguendo i delitti avvenuti nel 1974 a Rabatta vicino Borgo San Lorenzo, nel giugno 1981 a Mosciano di Scandicci, ad ottobre sempre del 1981 alle Bartoline di Travalle di Calenzano e soprattutto nel 1982 a Baccaiano di Montespertoli. Fu proprio in seguito a questo omicidio, infatti, che scattò il collegamento con l’omicidio della coppia avvenuta a Signa nel 1968.

L’elemento che richiamò i legami dei vari delitti avvenuti fino a quel momento furono i bossoli ritrovati sulle scene del crimine del tutto simili tra di loro. Soprattutto con quelli del 1968 ancora presenti nel faldone del caso oramai archiviato e conservato nella Procura della Repubblica di Perugia. Fu proprio il perito Ignazio Spampinato, lo stesso che svolse la perizia sull’esplosivo della strage di Bologna e che ebbe un ruolo anche nell’incriminazione di Pietro Pacciani come Mostro di Firenze, che, come visto in precedenza, attribuì la corrispondenza dei vari bossoli ad una unica serie.

Abbiamo anche già visto che proiettili della stessa filza attribuita agli omicidi sembra furono ritrovati anche nel piccolo arsenale di via San’Agostino a Firenze in uso al Colonnello del Sismi Mannucci Benincasa.

E’ anche vero, però, che proiettili di quel genere era possibile trovarli in uso a diversi personaggi, militari, frequentatori di poligoni di tiro anche della zona. Come, d’altronde, potevano essere corrispondenti quelli che vennero ritrovati a casa di Giampiero Vigilanti a Prato. Vigilanti, già appartenente alla Legione Straniera francese, è ancora oggi uno dei vari sospettati del compimento degli omicidi.

Gli ultimi tre duplici delitti avvennero nel 1983 nella frazione di Galluzzo appena fuori Firenze, nel 1984 alla Boschetta di Vicchio di Mugello e nel 1985 a Scopeti di San Casciano Val di Pesa. Qualcuno lega a questi omicidi anche quello della coppia uccisa nel 1984 nella Valle del Serchio a Sant’Alessio vicino Lucca. Ma non è questa la sede per ripercorrere le migliaia di dettagli che compongono la vicenda del Mostro e le sue ingarbugliate diramazioni e teorie, ci limiteremo per questo a toccare solo gli elementi più inerenti la nostra ricerca. E non ci dipaneremo neanche nelle decine di assassinii avvenuti a Firenze fino ancora a pochi anni fa, molti dei quali considerati come “morti collaterali” del caso del Mostro.

Alcuni dei delitti attribuiti al serial killer fiorentino avvennero nelle adiacenze di grandi e chiacchierate ville nobiliari. Secondo testimonianze ed ipotesi di indagine, indicibili festini a sfondo esoterico, sacrificale, sessuale pare si svolgessero in queste tenute alla presenza di personaggi dell’alta aristocrazia borghese ed in conseguenza di ciò avvenivano quindi i duplici delitti nella campagna fiorentina. La zona incriminata era quella della Val di Pesa dove, soprattutto a San Casciano, si incrociano vari personaggi legati ai fatti. Per alcune tesi investigative entrano in scena medici, farmacisti, nobili, come mandanti degli omicidi mentre un fitto sottobosco di guardoni rientrerebbero nella vicenda come autori materiali. 

Come abbiamo già visto nei capitoli precedenti, secondo alcune supposizioni, almeno un paio di rampolli di queste famiglie nobiliari furono considerati esser compromessi negli omicidi seriali. Uno dei segni che contraddistingueva i delitti del Mostro era il furto di feticci, parti dei corpi femminili asportati in alcuni delitti e mai più ritrovati, considerati materiale imprescindibile per poter svolgere i rituali di queste cerimonie mascherate da ricevimenti di gala. Alcune voci davano questi feticci conservati, a seconda delle diverse memorie delle comparse testimoniali, in due location differenti, entrambi però riconducibili ad un medico appartenente ad una nota famiglia perugina, Francesco Narducci.

I pedinamenti effettuati, non si sa a quale titolo essendo appartenente ad un’altra unità territoriale, dal Capo della Squadra Mobile di Perugia Luigi Napoleoni nei confronti del medico portarono ad un appartamento in via dei Serragli a Firenze. Immobile, tra l’altro, ubicato a meno di cinque minuti a piedi dal covo Sismi di via Sant’Agostino ed inoltre, secondo alcune voci, location di una violenza sessuale commessa da un certo Paolo Poli. Collega di Napoleoni sulle indagini sul medico perugino fu Emanuele Petri, Sovrintendente di Polizia che nel 2003 fu poi ucciso sul treno Roma – Firenze all’altezza di Castiglion Fiorentino durante uno scontro a fuoco con le Nuove Brigate Rosse, le stesse che uccisero Massimo D’Antona e Marco Biagi in precedenza. L’altro luogo dove risulterebbero esser stati visti i feticci umani conservati nella formaldeide, sarebbe una vecchia casa colonica nei dintorni di Sambuca Val Di Pesa. Proprio nella zona dove il suocero del dottor Narducci, Gianni Spagnoli, possedeva una azienda dolciaria. La famiglia Spagnoli oltre la fabbrica di caramelle “Fruttosello” in Val di Pesa era anche titolare di un impero finanziario del quale erano parte integrante la ben più nota fabbrica di cioccolata “Perugina”, la casa di moda “Luisa Spagnoli”, il parco divertimenti per ragazzi “Città della Domenica”, il “Perugia calcio” senza tralasciare gli stretti collegamenti parentali con l’azienda alimentare “Buitoni”.

Francesco Narducci pare frequentasse la Val di Pesa sia per le numerose amicizie che aveva nei dintorni, nate magari durante i mesi trascorsi a Firenze nel 1974 come militare di leva prima di esser riformato, sia anche per far visita all’azienda appena citata appartenente alla famiglia della moglie. A San Casciano sembra che uno dei suoi migliori amici fosse il patrizio don Roberto Corsini, il latifondista ucciso nel 1984, secondo la versione acclarata, dal figlio del suo fattore dopo esser stato scambiato per un bracconiere dal Conte stesso. Abbiamo già accennato a questa storia in precedenza ed ora aggiungiamo che, secondo alcune opinioni diffuse, proprio il nobiluomo era invischiato nella serie di omicidi delle coppiette. Delitti che cessano definitivamente l’anno dopo la sua morte ed un mese prima di quella del medico Narducci avvenuta nel 1985, ufficialmente annegato al largo del lago Trasimeno nel triangolo tra Sant’Arcangelo, l’isola Polvese e San Feliciano dove la sua famiglia era proprietaria di una villa. Sono numerose le versioni che ritengono il ritrovamento del corpo del medico perugino un falso storico dedito a nascondere i veri motivi del decesso, considerando questo scambiato con quello di uno sconosciuto, presumibilmente di un messicano senza famiglia conservato a Perugia in attesa di esser sbloccato burocraticamente dalla Procura. L’autopsia effettuata anni dopo, sul vero corpo di Narducci tumulato poi in seguito ed in gran segreto, confermerebbe le supposizioni addotte. Particolare lo scherzo del destino che si riversò sui due cognati pescatori che avvistarono il corpo e sul Poliziotto Provinciale delle Acque che ritrovò la piccola imbarcazione del dottore sull’isola Polvese, tutti e tre infatti morirono annegati nelle stesse acque a distanza di anni uno dall’altro. Secondo molti il medico di Perugia sarebbe l’autore o comunque un componente del gruppo che uccideva e praticava le escissioni sui corpi dei delitti del Mostro e, data la sua appartenenza ad una potente e conosciuta famiglia perugina, ad un certo punto fu ucciso egli stesso forse per porre fine allo scempio ed evitare lo scoppio di un grosso scandalo che avrebbe colpito anche varie istituzioni. Perugia era ed è una delle sedi massoniche più influenti in Italia. Abbiamo già incrociato nella nostra analisi l’avvocato “nonno” Augusto De Megni, Maestro Venerabile, al quale l’Anonima sarda rapì l’omonimo nipote nel 1990. Proprio De Megni era alto collega di Loggia di Ugo Narducci, padre del dottor Francesco. Nessuno scopo illegale e misterioso muove le confraternite massoniche ma a volte capita, come vedremo anche in seguito per altre storie inerente i nostri collegamenti, che qualche membro consideri l’oggetto sociale quello della manipolazione di eventi e persone per vantaggi di diversa specie. Furono quindi, secondo la versione dei fatti che ciò sostiene, il padre del dottore insieme al consuocero Spagnoli e con l’aiuto del Gran Maestro avvocato e di altri Fratelli della “Perugia bene” a prendere la triste decisione di eliminare il medico e provare a depistare la sua morte ma soprattutto ad insabbiare il ruolo che questi teneva nel gruppo degli assassini seriali. Gruppo che in realtà sarebbe stato una vera e propria confraternita della quale, secondo una diramazione di questa tesi, sarebbero stati membri anche Angelo Izzo e Gianni Guido “i massacratori del Circeo”, Andrea Ghira arruolatosi poi nella Legione Straniera facendo perdere le sue tracce, il già citato Serafino Di Luia l’esponente di Avanguardia Nazionale implicato in alcuni attentati sui treni e presente a Fiumicino il giorno dell’attentato del 1973, Gianluigi Esposito personaggio a metà tra la malavita e l’eversione, celebre per la sua fuga dal carcere di Rebibbia in elicottero e che nel 2006 morì proprio a Firenze dove si nascondeva sotto falso nome.

Angelo Izzo accusò egli stesso e la sua confraternita di aver rapito Rossella Corazzin, scomparsa nel 1975 dalla Valle di Cadore in Veneto e mai più ritrovata, ed averla sacrificata ed uccisa proprio nella villa di Francesco Narducci sul lago Trasimeno.

LUCA PINGITORE  

Qui la prima parte:

Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 1° PARTE 

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