Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 1°PARTE

Fatti ed intrecci poco noti che dall'Italia centrale segnarono la storia dell'intera penisola

Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 1°PARTE

La storia d’Italia dal dopoguerra in poi si è dipanata in un groviglio di vicende dai contorni nebulosi e mai chiariti. Esiste però un filo teso lungo tutti questi anni che sorregge la matassa di intrecci inconfessabili di poteri, criminalità ed apparati nazionali ed esteri. In questa lunga disamina non sono raccontati gli avvenimenti, sviscerati in migliaia di pubblicazioni e liberi di essere studiati per conto proprio, che hanno caratterizzato la nostra storia recente. La seguente indagine si pone l’obiettivo di divulgare fatti ed intrecci poco noti, magari qualcuno anche inedito, degli anni caratterizzati dalla cosiddetta “strategia della tensione”. L’analisi muove dalla zona geografica del Centro Italia, la regione anticamente conosciuta come Etruria, dove numerose vicende hanno avuto luogo o base operativa ed hanno poi segnato il resto della penisola oltrepassando i confini nazionali in ragione del ruolo strategico che l’Italia ha sempre ricoperto. Un discorso che si dispiega tramite collegamenti e curiosità che propone una visione d’insieme sulle intricate vicende spesso divulgate come singole e separate ma in realtà tutte correlate l’una con l’altra. Solo in questo modo si potrà comprendere la reale portata di quello che è avvenuto e che in realtà non è mai terminato. Molto si è solo trasformato e rigenerato.

Il report è pubblicato a puntate così suddiviso:

1° Parte:

  • L’anonima sarda
  • I draghi neri, l’italicus e le morti indotte
  • Fiumicino ed i dirottamenti

2° Parte:

  • I latifondi di nobili e politici in Etruria ed il geometra dell’anello
  • L’ufficiale del sismi e Firenze capoluogo della “strategia della tensione”
  • Il mostro di Firenze

3° Parte:

  • Foligno, gladio ed i destini incrociati
  • Dal caso moro ai legionari del mostro di Firenze
  • I legionari a Bologna
  • I corpi sconosciuti di Erlangen

4° Parte:

  • I dettagli familiari della loggia p2
  • Il magistrato sempre presente

5° Parte:

  • I porti di Livorno e Talamone
  • I politici dell’autostrada ed il caso moro
  • Petrolio e giornali
  • I rifiuti tossici, le bombe su Belgrado, gli aeroporti segreti ed i dossier dei servizi
  • (bonus track) Farneticazioni cinematografiche

“Brennero ‘66” era la canzone che i Pooh, agli esordi della loro quasi sessantennale carriera musicale, dedicarono alle vittime del cosiddetto “terrorismo altoatesino” il quale, a partire dalla famigerata “notte dei fuochi” del 1961, portò la questione dell’Alto Adige alla ribalta nazionale. Per gestire la situazione, nella Provincia di Bolzano, arrivarono in gran segreto dalla base di Capo Marrargiu in Sardegna direttamente i nuclei sabotatori. In realtà, dal Centro Addestramento sardo, non giunsero militari regolari ma esperti “gladiatori”. Il termine Gladio, all’epoca, però non aveva alcun significato per la popolazione italiana che ne farà ufficialmente conoscenza solo nell’estate del 1990.

Nel 1974 le note di “Piccola Katy”, il primo grande successo dei Pooh, venivano già da tempo diffuse ovunque in Italia e certamente allietavano anche i clienti del ristorante “Il Calderone” ubicato all’imbocco della strada che dal centro di Firenze porta diritto fino a Siena attraversando il Chianti e la Val d’Elsa e proseguendo poi ancora attraverso la Val d’Arbia, la Valdichiana e lambendo il lago Trasimeno giunge così nella Valle Umbra ed al capolinea delle Fonti del Clitunno. Praticamente l’antica regione dell’Etruria.

Tre ore di viaggio se si affronta l’itinerario in unica tappa.

Trenta anni di storia italiana se si affronta il viaggio soffermandosi sulle numerose vicende che si intrecciano nel centro della Penisola italica.

L’ANONIMA SARDA     

Sul finire degli anni’ 60, quando i Pooh con il frontman toscano Riccardo Fogli da Piombino muovono primi passi e successi, proprio dalla Sardegna sede della citata base militare ed ai tempi segreta di Torre Poglina, si compie una sostanziosa emigrazione verso la Toscana. Le valli già citate tra Firenze e Siena ma anche la zona di Prato, quella di Volterra, la Maremma, la Val d’Orcia, le Crete Senesi e giù fino all’area di Orvieto in Umbria si popolano di interi clan di sardi che principalmente si dedicano alla pastorizia, all’agricoltura e ad altri vari mestieri ma molti di loro non disdegnano le attività illecite come il furto del bestiame, l’appropriazione delle terre, lo sfruttamento della prostituzione, la più redditizia attività dei sequestri di persona.

In quegli anni il sardo Andrea Degortes, da tutti in seguito conosciuto come Aceto il “fantino del Palio di Siena”, mieteva già successi ippici ma tra Toscana ed Umbria i nomi sardi che iniziavano a girare con più frequenza erano quelli legati all’ “Anonima Sequestri Sarda”, associazione a delinquere così denominata da media ed inquirenti, dedita quasi esclusivamente al business dei rapimenti con richiesta di riscatto.

Fino agli anni ’90 grazie a questa branca del crimine girarono soldi, intimidazioni e paura facendo divenire la campagna toscana quello che era la Barbagia in terra sarda o l’Aspromonte in Calabria, la location giusta cioè dove tenere in ostaggio i rapiti e da dove gestire questo tipo di affari. Ritrovamenti di covi e di armi nascoste si sono susseguiti addirittura fino a pochissimi anni fa. L’Etruria non era impervia come la natia catena montuosa del Gennargentu ma di certo garantiva alcune utili coperture a chi era coinvolto in queste azioni delittuose. Anche in questo caso ricorre il termine “Gladio”. A quanto pare, infatti, in alcune situazioni la manovalanza sarda serviva per compiere lavori torbidi in cambio di accondiscendenza circa i loro affari criminosi privati, operazioni svolte quindi al posto dei gladiatori o dei cosiddetti servizi segreti “deviati”, reparti in stretta collaborazione tra di loro e per alcuni spesso combacianti l’un l’altro. Non è compito di questa lunga disamina riportare i vari rapimenti che videro protagonista la Toscana in quegli anni ma uno, considerabile come l’”atto finale” o comunque lo spartiacque che poi portò alla fine di questo fenomeno, è degno di esser citato: quello inerente Augusto De Megni rapito a Perugia e liberato poi a Volterra. Siamo già nel 1990 ma i dettagli inerenti la famiglia del bambino si incroceranno con uno dei casi più misteriosi d’Italia perpetratosi fino a pochi anni prima sempre nella zona di cui ci stiamo occupando: i delitti del “Mostro di Firenze”. “Nonno” De Megni era un potente Maestro Venerabile di 33° grado, il massimo, e fratello massone di Ugo Narducci, padre di Francesco Narducci che fu tra i principali indagati per la serie dei delitti. Questa vicenda fiorentina si fa partire da un omicidio avvenuto nel 1968 in località Castelletti di Signa, nell’hinterland del capoluogo toscano. Un probabile regolamento di conti passionali tra sardi che diventerà oggetto della presumibile principale azione di depistaggio dell’intera saga degli omicidi delle coppiette. La tesi che supporta la mistificazione di questo duplice delitto ne presenta l’autore nell’Ufficiale del Comando Provinciale dei Carabinieri sito in Borgo Ognissanti a Firenze, Olinto dell’Amico. Personaggio che incroceremo più avanti negli anni come Comandante della caserma stessa ma soprattutto in qualità di membro del SID / SISMI, il Servizio Segreto Militare, nel ruolo di reclutatore. Fu lui, nel 1982, a coordinare il collegamento tra i delitti del Mostro con questo lontano ed isolato assassinio di circa quattordici anni prima. Ma il nome del Colonnello, come detto, tornerà anche in altri fatti oscuri. 

I DRAGHI NERI, L’ITALICUS E LE MORTI INDOTTE

Il ristorante “Il Calderone” non era ubicato molto lontano dalla caserma dell’8° reparto mobile della Polizia a Poggio Imperiale, l’elegante quartiere collinare fiorentino. Anche per questo motivo molti agenti di stato lo utilizzavano come base di ritrovo nelle pause e nel tempo libero. Prima che la vicenda giudiziaria lo coinvolse e ne decretò poi il declino, le canzoni al suo interno più trasmesse erano quelle dei Pooh cantate dalla voce del fratello di Luciano, il titolare. Da Piombino si era trasferito a Firenze aprendo un ristorante, suo fratello Riccardo, invece, trasferitosi a Milano era entrato nel gotha della musica italiana ed internazionale.

Nella porzione esterna della trattoria, il gruppetto composto dal poliziotto esperto di esplosivi Bruno Cesca, dal collega Filippo Cappadona e da altri commilitoni, pare si sollazzasse ad estrarre polvere da sparo da bombe a mano e creare piccole esplosioni pilotate. Ma soprattutto sembra che si divertissero anche ad effettuare delle rapine ad uffici postali, banche, farmacie oltre che a compiere razzie sui treni. Proprio il ritrovamento di armi, travestimenti e refurtiva in seguito ad una perquisizione al “Calderone” portò Cesca in carcere, dal quale riuscì comunque ad evadere dopo aver cinematograficamente segato le sbarre della cella. Fu prontamente riportato in prigione dopo esser stato individuato asserragliato insieme ad altri evasi in un casolare sul Monte Morello, tra Firenze e Prato. Siamo già a cavallo tra il 1975 ed il 1976 e la “strage del’Italicus”, il treno Roma -Monaco di Baviera fatto esplodere nella galleria di San Benedetto Val di Sambro nella tratta tra Firenze e Bologna, era già accaduta da circa un paio di anni, nell’agosto del 1974. La moglie di Fogli ristoratore, Maria Concetta Corti, arrestata con Cesca e gli altri a causa della refurtiva trovata al “Calderone”, per evitare una lunga detenzione in carcere decise di segnalare dei fatti che avrebbero provato, secondo lei, la responsabilità degli agenti Cesca e Cappadona nella tragedia dell’Italicus. Come segno della sua credibilità affermò che i candelotti di dinamite ritrovati nella periferia di Firenze sotto il cavalcavia di Sant’Andrea a Rovezzano nel settembre 1974, un mese dopo la bomba sul treno, erano in possesso dei poliziotti che frequentavano il suo ristorante.  Aggiunse, inoltre, che prima della strage di agosto, gli stessi, fecero saltare in aria il loro deposito di esplosivi a Greve in Chianti per eliminare elementi a loro riconducibili. Circa la partecipazione di Cesca all’attentato del treno, Maria Corti sostenne di averlo dedotto sentendo lo stesso pronunciare frasi autoaccusatorie, all’interno del ristorante, nell’immediatezza della lettura dei giornali che riportavano l’accaduto il giorno dopo il fatto. In pratica, Cesca avrebbe fornito l’esplosivo agli esecutori della strage e Cappadona avrebbe garantito copertura circa la collocazione della bomba sul treno durante la sosta alla stazione di Santa Maria Novella, essendo stato egli stesso in servizio alla PolFer quella sera. Secondo le accuse anche lo stesso Cesca sarebbe stato in servizio sulla linea ma in un’altra piccola stazione a controllare il passaggio del convoglio ferroviario. Le accuse in questione non trovarono riscontro giudiziario come non trovò conferma che la banda fosse chiamata “Draghi Neri” in quanto la tessera ritrovata che ne assegnava l’appartenenza risultò essere di un club sportivo di Londra. Nella disponibilità di Cesca però sembra che fu comunque trovato dell’esplosivo dello stesso tipo di quello utilizzato sul treno Italicus. Sulla natura dell’esplosivo trovatogli e di quello utilizzato sul treno esistono varie dissertazioni che collegherebbero tutti i vari attentati ferroviari, stazione di Bologna compresa, avvenuti negli anni di cui stiamo parlando: Terontola, Incisa Val d’Arno, Vaiano, Vernio, gli otto attentati sulla tratta Arezzo – Firenze fino alla terza grande strage in ambito di strade ferrate, quella che prende il nome dal treno colpito, il “Rapido 904” avvenuta nel 1984.

Non è oggetto di questo studio la strage dell’Italicus ma va correttamente segnalato che la pista seguita dagli inquirenti era comunque toscana toccando fatti e personaggi oscillanti tra Arezzo, Empoli, Firenze e che proprio in questa vicenda fa il suo “esordio pubblico” un altro personaggio che sarà protagonista di tutta la “strategia della tensione” nel territorio dell’Italia Centrale: il Capo del Centro SISMI di Firenze dal 1971 al 1991 Colonnello Federigo Mannucci Benincasa.

Anche in questa faccenda dei “Draghi Neri”, come nel citato duplice delitto nato in ambiente sardo del 1968 a Signa, gioca un ruolo la caserma del Comando Provinciale di Borgo Ognissanti a Firenze gestita dal Colonnello Olinto dell’Amico, uomo dei servizi segreti. Fu proprio da quella caserma che partì la proposta, remunerata, per Maria Concetta Corti affinché diventasse confidente dell’Arma e poter così soffiare alcuni nomi importanti che frequentavano l’ambiente dei “Draghi Neri”, personaggi a metà tra istituzioni ed eversione bazzicanti il ristorante “Calderone”. Maria Corti fu difesa dall’avvocato Nino Filastò, anche egli in seguito entrato nella vicenda del Mostro di Firenze per esser stato il difensore di Mario Vanni, uno dei “compagni di merende” risultato poi colpevole secondo la controversa verità giudiziaria. Nel 1978 Maria Corti muore a 26 anni in seguito ad una grave malattia, neanche tre anni dopo dal suo coinvolgimento nell’inchiesta.   

Non si hanno assolutamente elementi che inducano a pensare altro circa il dettaglio appena descritto ma questa è l’occasione per citare un argomento considerato dai meno avvezzi come questione ai “confini della realta’“: le morti indotte. Teoria reputata fantasiosa per molti ma comunque supportata da rivelazioni dell’Istituto Ricerche Comunicazioni Sociali di Torino, ente di eccellenza nel settore della microfisica e della microelettronica, legato ai Servizi italiani ed a parlamentari del calibro di Flaminio Piccoli già segretario della Democrazia Cristiana. L’IRCS collaborava con la 4°, la 5°, la 13° Divisione e la Direzione Sanità del Sismi. Prendendo spunto quindi dalla parte finale della vicenda dei “Draghi Neri”, citiamo uno dei differenti metodi utilizzati da alcuni Servizi Segreti, almeno fino al 1993, per eliminare personaggi a loro scomodi. Dopo aver reperito da centri di ricerca e laboratori specifici dei campioni di cellule cancerogene vive, queste venivano iniettate nella futura vittima così da ammalarsi ed allontanare quindi i sospetti di omicidio. Quando ciò non era possibile, magari qualche centro diagnostico compiacente dalle parti di Genova dove fu importata in Italia la prima TAC, accertava la malattia e così all’atto di curarsi il gioco riusciva ugualmente. Salvo poi per la vittima designata recarsi magari in Inghilterra per visite più approfondite e risultare miracolosamente guarita. Morti tempestive e tecniche di induzione alle stesse non mancheranno nel prosieguo di questa nostra disamina sulla “strategia della tensione”.

FIUMICINO ED I DIROTTAMENTI

Secondo alcune voci, Bruno Cesca, il principale esponente dei presunti “Draghi Neri”, prima della vicenda fiorentina avrebbe prestato servizio alla PolAria dell’aeroporto di Fiumicino. Le dicerie dei tempi lo davano in turno proprio il giorno, nel dicembre del 1973, in cui un commando di Fedayn palestinesi fece irruzione nel terminal aeroportuale riuscendo a raggiungere la pista, far esplodere una bomba all’interno di un aereo in partenza per Beirut e Teheran, dirottare un altro aeromobile pronto a decollare per Monaco di Baviera e farlo poi girovagare tra Atene, Damasco ed Al Kuwait.

Dall’attentato di Fiumicino scaturiranno in seguito altri filoni con implicazioni internazionali inerenti la “strategia della tensione”, una tra queste è quella dell’aereo Argo 16 legato alla solita “Gladio”.

Risulta particolare come anche un altro personaggio legato all’eversione di quegli anni, Serafino Di Luia, fratello dell’attore Bruno conosciuto anche per esser stato “l’uomo di Puccio” nella celebre commedia del 1986 “Grandi Magazzini”, lavorasse in quel periodo alla filiale del Banco di Santo Spirito proprio all’interno dell’aeroporto di Fiumicino. Fu fatto assumere nel 1972 quando era già noto alle cronache nazionali per esser uno dei maggiori esponenti di Avanguardia Nazionale e sospettato di esser implicato, anche lui, in alcuni attentati avvenuti in giro per l’Italia a danno di treni. Di Luia, che in seguito cambiò vita dirigendo una casa editrice con annessa libreria in ambito esoterico, nel 1974 si rese irreperibile per un lungo periodo ed alcune cronache lo danno transitante per Firenze e frequentatore di giri abbastanza impelagati nelle solite vicende dei delitti del Mostro. Come d’altronde bazzicava anche nel gruppo degli autori del “massacro del Circeo”. Gruppo collegato di recente, secondo le confessioni di un appartenente alla banda ma non ufficialmente riscontrate, al personaggio di Francesco Narducci. Il già citato medico perugino anche esso protagonista delle vicende del Mostro.

 LUCA PINGITORE

Qui la seconda parte:

Il calderone della strategia della tensione. Collegamenti e curiosità 2° PARTE 

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